Un percorso fatto di intraprendenza e determinazione, viaggi e networking, scambi di idee e di e-mail... È quello di Francesco Visin, alumno di Milano-Bicocca e oggi senior research scientist presso Google DeepMind, società dell’universo Google e una delle principali aziende nel settore dell’Intelligenza artificiale, responsabile di contributi fondamentali alla disciplina (basati soprattutto su tecniche di apprendimento per rinforzo) quali AlphaGo, il primo sistema in grado di battere un essere umano al gioco del Go, e AlphaFold, un sistema per predire la struttura delle proteine, considerato una rivoluzione scientifica per la biologia tanto da essersi aggiudicato il Nobel per la Chimica 2024.
Visin è anche uno dei promotori della Mediterranean Machine Learning (M2L) summer school, scuola su Machine learning e Intelligenza artificiale che si tiene ogni anno nell'area del Mediterraneo e che è giunta alla sua quarta edizione: nel 2024, per la seconda volta, a ospitare la scuola è stata l’Università di Milano-Bicocca.
Proprio a partire dalla storia di Visin e di quella, analoga, di altri ricercatori italiani che lavorano presso Google DeepMind, è nata l’idea di coltivare quei meccanismi che hanno favorito la loro esperienza, ovvero la contaminazione e la collaborazione scientifica. Come? Creando un’occasione di incontro e di scambio che permetta agli studenti di entrare in contatto con ricercatori ed esperti affermati a livello mondiale. E così è nata la scuola M2L il cui obiettivo è promuovere il networking e il trasferimento di conoscenze nell'area del Mediterraneo riunendo ricercatori, docenti e professionisti leader del mondo accademico e dell'industria, favorendo le connessioni tra di loro e fornendo accesso a un'istruzione di alta qualità.
La scuola è co-organizzata da un comitato locale, che nel 2024 era composto da Simone Melzi, Matteo Palmonari, Simone Bianco, Elisabetta Fersini e Marco Viviani, tutti docenti o ricercatori presso il Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Comunicazione DISCo.
Innanzitutto, qual è stato il suo percorso accademico?
Il mio percorso in realtà è stato poco “ortodosso”. Dopo la laurea triennale in Ingegneria gestionale al Politecnico di Milano non ero più sicuro che quella fosse davvero la mia strada. Avevo sempre pensato di non voler “rovinare” la mia passione facendone un lavoro. Poi ho realizzato invece che era proprio il contrario: se non ami quello che studi e che fai, non sarai mai così bravo a farlo. Insomma avevo capito che la mia passione per la computer science poteva diventare il mio lavoro. Per questo ho deciso di fare una nuova triennale, questa volta all’Università di Milano-Bicocca, e mi sono iscritto a Informatica.
Non un passaggio proprio facilissimo.
No infatti è stato abbastanza complicato ma alla fine ho portato a termine la triennale e, sempre in Bicocca, ho intrapreso la laurea specialistica e ho iniziato essere affascinato dalle reti neurali, un’“attrazione” difficile da spiegare visto che non avevo ancora capito bene quale fosse esattamente il mio campo di interesse. Un progetto di ingegneria ambientale aveva attirato la mia attenzione: c’era bisogno di stimare in modo automatico la portata d'acqua di una cascata dalle immagini prese da una webcam. Ne avevo parlato con Matteo Palmonari, professore di Informatica dell’ateneo, che mi aveva detto che pensava che si potessero usare le reti neurali per quel genere di problemi.
Avevo grandi ambizioni per la tesi di specialistica: volevo applicare le reti neurali per realizzare la guida autonoma di un golf cart. Un progetto decisamente troppo impegnativo: basti pensare che ci sta lavorando oggi Google con un team intero. Insomma allora ero un po’ naif: quando mi sono scontrato con la realtà, ho ridimensionato decisamente il progetto.
Che cosa ha fatto dopo la laurea?
Ho programmato un viaggio di cinque mesi negli Stati Uniti: avevo deciso di fare un mese di vacanza e di dedicare il resto del tempo a cercare un lavoro oltreoceano. Ma di nuovo mi sono scontrato con la realtà: con il visto turistico, negli Usa non è nemmeno possibile fare colloqui di lavoro, figuriamoci essere assunti. Ero lì per niente? Non proprio: ero a Boston, a due passi dal Massachusetts Institute of Technology (MIT), perché non andare a dare un'occhiata? Mi sono intrufolato nel Dipartimento di Informatica e sono andato a seguire qualche lezione, Volevo farmi un po’ l’idea della differenza tra l’ambiente accademico italiano e quello americano.
Ho spulciato tra i nomi delle persone che lavoravano all’Mit e ho provato a scrivere un’e-mail a Tommaso Poggio (professore dell’Mit, è uno dei fondatori delle neuroscienze computazionali ed è stato il pioniere di un modello del sistema visivo della mosca e della stereovisione umana, ndr). Non solo mi ha risposto ma mi ha fatto anche partecipare a un incontro con il suo team di ricerca. Un’occasione straordinaria che ha acceso in me la spia della ricerca. E proprio Poggio è stato per me una guida per orientarmi nel vastissimo mondo dell’AI.
Com’è stato orientarsi in quel mondo così poco conosciuto?
Avrei voluto continuare la mia carriera negli Usa, ma le tempistiche per l’iscrizione alle varie università non erano a mio favore. Avevo mandato qualche application in Neuroscience anche in Europa ed ero stato accettato a Manchester e a Edimburgo. Nel frattempo però il mio interesse si era focalizzato sulla computer vision; quando sono stato accettato al Politecnico di Milano, ho pensato che quello poteva essere comunque un trampolino per andare all’estero magari come visiting student. Ma dove? Quali potevano essere i laboratori in cui potevo fare ricerca?
Avevo scritto per questo a Ian J. Goodfellow, oggi tra i massimi esperti di AI che allora era solo un dottorando. Di nuovo un’e-mail chiave per la mia formazione: Goodfellow mi ha risposto e mi ha dato una lista di laboratori e ricercatori con cui potevo confrontarmi. Ho scritto a tutti e mi ha risposto Aaron Courville, uno dei pionieri dei moderni sistemi di apprendimento automatico e professore presso il Mila, centro di ricerca di AI tra i più importanti al mondo con sede a Montreal. Il centro è guidato da Joshua Benjo, che nel 2018 insieme a Yann LeCun e Geoffrey Hinton ha vinto il Turing Award (l’equivalente dei premi Nobel in ambito informatico) per i contributi che ha dato alla nascita dei moderni sistemi di apprendimento automatico.
Di nuovo un’email che le ha cambiato la vita…
Sì, e a quelle e-mail sono seguite altre chiacchierate… Ad Aaron Courville sono piaciuto e mi ha voluto a Montreal! Questo contesto mi ha aperto davvero la mente: ho iniziato a fare ricerca e a crearmi una rete di ricercatori interessati ai temi a cui ero interessato io. E ci sono rimasto per un anno e mezzo.
Che cosa ha imparato “sulla sua pelle”?
Mi sono dilungato sul mio percorso accademico per spiegare quante difficoltà io abbia incontrato sulla mia strada. In Italia abbiamo una solidissima preparazione di base (siamo infatti ricercatissimi all’estero) ma penso che i programmi di studio più avanzati facciano fatica a stare al passo con lo stato dell’arte e personalmente mi è mancato avere un’esperienza di ricerca durante il corso di laurea: parlo di un approccio semplice, come può essere imparare a leggere e analizzare un paper, riuscire a farsene un’opinione e saperla esporre agli altri. In Italia si inizia a fare ricerca con il dottorato e prima si fa fatica ad avere un approccio precoce alla ricerca.
È da questo scoglio che è nata l’idea della scuola M2L?
Sì esatto, confrontando la mia esperienza e quelle analoghe di altri ricercatori italiani che lavorano presso Google DeepMind, ci siamo resi conto che non è un problema solo delle università italiane ma anche di quelle dell’intero bacino del Mediterraneo. Vengono offerti programmi di Informatica, Matematica, Statistica, Fisica molto buoni in questi Paesi ma in Artificial Intelligence si fa fatica ad avere dei programmi di studio competitivi in un contesto in rapida evoluzione, spesso manca la possibilità di fare ricerca ad alti livelli e tipicamente non ci sono molte offerte di lavoro in questo settore.
Siamo partiti dai dati di fatto che emergono da varie ricerche: esiste una gigantesca fuga di cervelli dai Paesi del Mediterraneo come Spagna, Grecia, Croazia, Serbia e naturalmente Italia verso Stati Uniti e Inghilterra soprattutto e, in misura minore, verso Svizzera, Francia e Germania. E la motivazione l’abbiamo trovata proprio analizzando le posizioni aperte in ricerca su Artificial Intelligence in aziende “big tech”.
La scuola è diventata un’occasione per portare ricercatori di AI a fare lecture sullo stato dell’arte nel campo dell’AI, che è un mondo in fortissima evoluzione e dove l’aggiornamento è fondamentale. Il feedback dei partecipanti è stato entusiastico perché questa scuola consente di assistere a talk con i maggiori esperti mondiali, di acquisire un'esperienza pratica su queste tecniche nei laboratori, presentare la propria ricerca, fare networking con altri ricercatori da tutto il mondo, occasioni più uniche che rare proprio nel bacino del Mediterraneo.
Chi ha partecipato a questa scuola?
Quest'anno ci sono stati 180 partecipanti, selezionati da un pool di oltre 550 domande (è stato stabilito un tetto massimo alle domande vista la grande richiesta di partecipazione proveniente da studenti internazionali, accademici, professionisti e imprenditori di tutto il mondo). La scuola ha ospitato 18 lezioni e 5 sessioni di laboratorio tenute da esperti di spicco nel campo dell'apprendimento automatico e dell'intelligenza artificiale, oltre a sessioni in cui i partecipanti hanno potuto discutere le loro ricerche. Insomma un’occasione per incontrarsi, scambiare idee e stabilire relazioni durature.
La scuola ha visto la presenza di studenti che studiano o lavorano in molti Paesi diversi, quali Spagna, Turchia, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Svizzera, Italia, Danimarca, Francia, Canada, Regno Unito, e molti altri. Circa il 62% ha nazionalità straniera, da Paesi quali Cina, Turchia, Regno Unito, Russia, Germania, Francia, Spagna, India, Grecia, Canada, Croazia, Polonia. La scuola, pensata per studenti di dottorato, è però anche aperta a lavoratori, studenti lavoratori, studenti magistrali, o, in casi eccezionali, anche studenti triennali.
Mi piace pensare che i 180 studenti di quest’anno abbiano avuto quell’opportunità che ho avuto io nel mio percorso, di avere una carta, una mano buona da giocarsi nel mondo complesso della ricerca. Noi possiamo offrire quella e io mi auguro che sia un ottimo punto di partenza per la loro carriera.