Donne vittime di tratta. Dalla strada al web - Bnews Donne vittime di tratta. Dalla strada al web

Donne vittime di tratta. Dalla strada al web

Donne vittime di tratta. Dalla strada al web
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Lo scorso 8 febbraio è stata la giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani.

Con la professoressa Patrizia Farina, docente del dipartimento di Sociologia e ricerca sociale di Bicocca, approfondiamo allora com’è cambiato negli ultimi anni il fenomeno della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale.

Professoressa Farina, ci aiuta ad inquadrare meglio il fenomeno delle donne vittime di tratta?
La tratta di esseri umani è un fenomeno noto da tantissimo tempo ed esteso a livello internazionale, che lede i diritti umani. Perché viola tutte le libertà della persona.
È importante però fin da subito distinguere il fenomeno della tratta per sfruttamento sessuale rispetto al fenomeno della prostituzione, che non ha in sé la caratteristica di obbligo e costrizione.
Infatti quando parliamo di tratta facciamo riferimento al trasferimento di persone, dal loro paese di origine, ai fini di sfruttamento per motivi economici. Che possono quindi essere legati alla prostitutizione ma anche ad altri tipi di sfruttamento lavorativo.
Un altro aspetto da non sottovalutare è che spesso ci si concentra sulle donne vittime di tratta, ma per capire nel suo complesso questo fenomeno andrebbe approfondito anche dal punto di vista dei clienti che si rivolgono alle donne vittime di questo traffico. E che quindi, indirettamente, lo incentivano.

Donne nigeriane, rumene, albanesi e cinesi, oltre a transessuali provenienti prevalentemente da America Latina: questa è la fotografia delle vittime della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale, come emerge anche dal rapporto di Caritas Ambrosiana e Centro Pime presentato nei giorni scorsi a Milano.
Le ragioni per cui queste persone finiscono nel giro della tratta sono prevalentemente di due tipi. Alcune di loro intenzionalmente vengono trattate perché le condizioni socio-economiche in cui vivono sono tali per cui preferiscono farsi “sfruttare” pur di abbandonare il loro Paese e quindi sperare in un futuro migliore. Questo vale soprattutto per le donne nigeriane, dove anche culture e tradizioni voodoo hanno un certo peso in queste scelte.
Altra situazione invece è quella di donne che vengono soggiogate e quindi costrette in una situazione di schiavitù, spesso da presunti fidanzati che, con la promessa di una vita migliore lontano dal proprio paese di origine, le costringono una volte giunte a destinazione a prostituirsi.

Qual è la situazione a Milano?

Sulla città di Milano i numeri sono sempre molto alti, in particolar modo di persone provenienti da est Europa, soprattutto Albania. Mentre nell’hinterland si registrano prevalentemente donne provenienti da Africa e Nigeria. La presenza di transessuali invece si registra indistintamente sia in città che fuori. Questa distinzione è direttamente collegata a dinamiche del racket della criminalità che funziona meglio in una zona piuttosto che nell’altra.
In generale comunque, per quanto riguarda numeri e statistiche, ci terrei però a sottolineare che trattandosi di un fenomeno sempre molto sommerso, chiaramente si tratta di un campione parziale. E inoltre i dati statistici sull’andamento della tratta ai fini sessuali sono condizionati non solo dalla “domanda del mercato”, ma anche dalle condizioni socio-economiche dei paesi di provenienza di queste donne.

Perché queste donne sono diventate “Invisibili” negli ultimi anni?

Con il termine invisibili, nel rapporto di Caritas e Pime ci si riferisce alle donne vittime di tratta e ridotte in schiavitù per lo sfruttamento sessuale, che sono quasi scomparse dalle strade italiane.
Ma questo, ahimè, non significa che il fenomeno si è interrotto; semplicemente si è spostato altrove, ovvero nelle case e sul web. E ciò è successo anche a causa della pandemia.

Anche in queste nuove situazioni di prostituzione indoor, possiamo fare dei distinguo legati alla nazionalità delle donne e alle dinamiche più propriamente commerciali del racket.
Le donne nigeriane infatti sono ancora dedite prevalentemente alla prostituzione all’aperto, mentre le asiatiche esclusivamente indoor. Le donne provenienti dai paesi dell’est invece si trovano in entrambe le situazioni.
Tra le altre cause dello spostamento in luoghi chiusi anche una maggiore sicurezza non solo delle donne, ma anche dei trafficanti stessi, che hanno modo così di rendere meno visibile l’attività illegale.
Ma lo spostamento dalla strada alle case ha peggiorato ulteriormente le condizioni delle donne vittime di tratta, perché cadono così in una doppia segregazione, che annulla quasi completamente la socialità.
Perché sulla strada hanno comunque modo di intrecciare alcune relazioni, non solo tra loro, ma anche con le operatrici delle unità di strada. Relazione, in quest’ultimo caso, che diventa davvero difficile con le donne che esercitano sull’indoor.

In entrambe le situazioni comunque l’avvicinamento e il contatto da parte delle unità di strada avviene in prima battuta offrendo supporto per i bisogni reali, di tipo legale e/o sanitario. Solo successivamente, se si crea una relazione di fiducia, c’è il passaggio alla visita domiciliare nel caso delle donne che esercitano indoor. Le donne sudamericane sono più aperte e disponibili ad accettare aiuto, mentre rumene e cinesi sono spesso molto restie. Grazie però anche ad app come WeChat per il mondo cinese, le operatrici riescono a creare un maggior contatto.

É fondamentale infine sottolineare che l’attività delle varie organizzazioni che si occupano della tratta non ha velleità salvifiche, ma l’obiettivo è quello di mettersi a disposizione per quello di cui hanno bisogno (compresa quindi anche la volontà di uscire dalla tratta).

Che ruolo ha l’università in generale e Bicocca nello specifico su questo tema?

É sicuramente importante continuare a parlare e dunque sensibilizzare le giovani generazioni non solo sul fenomeno legato alla tratta ai fini della prostituzione, ma più in generale della tratta degli esseri umani per qualunque tipo di sfruttamento.

Negli anni in Bicocca diversi docenti e ricercatori hanno trattato e continuano ad occuparsi di questo tema, da diversi punti di vista. Sono numerosi gli studi in tal senso, e si tratta prevalentemente di ricerche di tipo qualitativo, affrontate sotto il profilo sociologico, ma anche giuridico, psicologico e formativo.