DAD: un acronimo che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere. Ogni ordine di scuola infatti, seppure in maniere e tempi diversi, dal marzo 2020 ad oggi ha sperimentato la didattica a distanza, un’esperienza che unita alla «rarefazione della vita sociale e al confinamento nelle mura domestiche ha, di fatto, trasformato quella che era stata una situazione di emergenza, in una situazione prolungata di alterazione della vita dei ragazzi (specialmente della secondaria), delle famiglie e anche degli insegnanti», sottolinea Giulia Pastori, docente di didattica e pedagogia speciale di Milano-Bicocca.
«Se infatti il bilancio consente di vedere qualche elemento positivo, come ad esempio una familiarizzazione con gli strumenti digitali da parte degli insegnanti, una rivalutazione del ruolo culturale e sociale della scuola nella percezione della società, una riscoperta dei legami e dei patti educativi di comunità, dell’importanza della rete fra enti e istituzioni educative - prosegue la pedagogista - l’ascolto del vissuto di tutti gli attori sociali su quell’esperienza, in primo luogo nella voce dei ragazzi, pone un veto al ripetere scelte così radicali e obbliga ad una considerazione molto più globale e bilanciata di che cosa significhi oggi tutelare il benessere di bambini e ragazzi, delle famiglie e della società. »
Al rientro in classe a settembre, gli insegnanti hanno constatato infatti nei ragazzi «un aumento di fragilità emotive e di disorientamento, una diminuzione di autonomia, così come un aumento di forme di ansia e fatica a recuperare apprendimenti ‘sospesi’ come atolli nella memoria dei mesi di didattica a distanza.» sottolinea la docente.
Per questo, conclude Giulia Pastori, «non possiamo ripetere mesi di DAD e ogni sforzo deve esser fatto a più livelli e con più interventi perché le scuole siano messe nelle condizioni di mantenere la frequenza degli studenti, con una politica di sistema ampia e integrata. Va riconosciuto, infatti, che l’attuale scelta del mantenimento dell’apertura delle scuole, con gli stop and go delle quarantene, ha delle ricadute faticosissime sul lavoro organizzativo dei dirigenti e degli insegnanti.»
A queste riflessioni si aggiunge la testimonianza di Gian Marco Marzocchi, psicologo dei bisogni educativi speciali di Milano-Bicocca, che ricorda innanzitutto come «inizialmente, soprattutto i ragazzi più grandi, abbiano vissuto lo stare in casa e svolgere le lezioni in DAD in modo positivo: quasi come una vacanza. Inoltre, due fattori sono stati d’aiuto in quei primi mesi di lockdown: il ruolo degli adulti e il rapporto con gli altri coetanei. Il primo ha mostrato che se i ragazzi si sentivano tutelati dai genitori e vi era un basso livello di stress familiare, a livello psicologico c’era comunque un certo benessere psicologico e generale. L’altro fattore di protezione è stato il rapporto coi pari.»
Prosegue Marzocchi: «Già da diversi mesi però, diversi studi hanno riportato un aumento fortissimo dell’ansia e depressione nei giovani, segno che qualcosa si stava incrinando. In realtà infatti, pian piano il senso di autoefficacia - cioè la percezione di “come io mi sento di far certe cose” - andava diminuendo: i ragazzi si sentivano sì più liberi ma con un minor controllo della situazione. Allo stato attuale poi, ho potuto riscontrare come la fonte maggiore di preoccupazione sia il senso di incertezza: il non sapere cosa succederà genera spesso più angoscia di un fatto negativo reale. Un altro aspetto che sta emergendo con forza - e che un ritorno alla DAD potrebbe evidenziare - è la difficoltà nella gestione delle regole extrascuola, con il risultato di un vivere in modo schizofrenico, tra divieti e libertà.»
Dal punto di vista psicologico, dopo il periodo di ricorso massiccio alla DAD, si è visto inoltre «un aumento, notevole e preoccupante, dell’autolesionismo, di azioni forti e di risse: come se i ragazzi non riuscissero a regolare e gestire i loro impulsi. - conclude Gian Marco Marzocchi - Credo che il continuo stop and go abbia messo i giovani a rischio di non avere un equilibrio emotivo. Spesso in casi singoli è aumentato molto il conflitto tra genitori e figli, come se i ragazzi, sentendosi costretti da regole e divieti, si rifugiassero (per esempio) nell’online, bisogno che i genitori faticano a comprendere, rendendo così più facili situazioni di violenza fisica o verbali come valvola di sfogo.»
Si rende più che mai necessario uscire da questa situazione di emergenza continua, limitando anche questi rischi pedagogici e psicologici. A questo proposito, afferma Andrea Biondi, medico pediatra e direttore della Scuola di specializzazione di Pediatria di Milano-Bicocca «Lo strumento lo abbiamo: è il vaccino. Siamo tutti d‘accordo sugli effetti che due anni di attività scolastica frammentaria hanno provocato sui bambini e sui ragazzi: uno dei principali è la mancanza della relazione che è fondamentale nel rapporto educativo e che certamente uno schermo non risolve. Per questo credo sia fondamentale ribadire che avendo lo strumento per contenere i contagi, cioè il vaccino, dobbiamo usarlo.»