Il rapporto tra democrazia e tecnologia indagato sotto l’aspetto tecnico con la lente del diritto. Il corso di Juridical and Social Issues in Information Society del nostro Ateneo, con i docenti Silvia Salardi e Andrea Rossetti, ha organizzato il webinar (link alla locandina) "Oltre la democrazia. Tecniche e problemi delle democrazie digitali" in programma il prossimo 6 novembre alle ore 10. «Affronteremo l’argomento – anticipa il professore Rossetti – da un triplice punto di vista tecnico, grazie al contributo dei professori Gian Marco Gometz, Gianluigi Fioriglio e Marco Mancarella delle Università di Cagliari, di Modena e Reggio Emilia e del Salento. Discuteremo di come le tecnologie modificano le forme di democrazia, di come devono modificarsi le norme per far sì che l’uso della tecnologia garantisca il rispetto dei principi democratici e di quali sono gli strumenti giuridici presenti nel sistema italiano che consentono forme di democrazia digitale».
Da anni in Italia si parla di elezioni con sistemi digitali, cosa che – con le opportune garanzie tecniche – sarebbe rispettosa di ciò che la Costituzione richiede, vale a dire che il voto sia personale ed eguale, libero e segreto. Finora, però, non si sono avute che poche, limitate, applicazioni. «Il problema – sostiene il docente – sono gli informatici perché ritengono possibile hackerare il voto. Anche gli hacker etici si sono sempre rifiutati di lavorare a questo tipo di progetto. Il problema esiste, ma la possibilità di “hackerare” i risultati esiste anche col voto cartaceo». La possibilità, dunque, c’è, ma – come osserva il professore Rossetti – va approfondita sotto l’aspetto tecnico e dotata di un’adeguata cornice normativa: «C’è, in questo ambito, un fallimento della comunità internazionale che non si è mai attivata per studiare come mettere in pratica il voto digitale attraverso un sistema open source. Questo finisce per lasciare tutto nelle mani di ditte private. Il caso del referendum sull’autonomia in Lombardia insegna. Sul piano formale erano rispettate tutte le disposizioni emanate ad hoc, tuttavia non era possibile alcun tipo di verifica dal momento che la ditta incaricata utilizzava un codice chiuso. È necessaria una legge che dica che occorrono due requisiti: un codice open source e un sistema che consenta di verificare la corrispondenza tra il risultato digitale del voto e quello analogico».
Nella sua versione più “spinta”, la democrazia digitale assume la forma di democrazia diretta elettronica. L’intera comunità è chiamata non solo ad esprimersi su un quesito referendario o sulla scelta dei candidati da eleggere, ma anche a svolgere la funzione legislativa senza la mediazione di rappresentanti. Rispetto a ciò, il giurista non può che rilevare una serie di criticità di tipo sostanziale e formale. «Non è una forma di democrazia – avverte il professore Rossetti – perché chi è chiamato a prendere delle decisioni deve essere adeguatamente informato e deve avere tutti gli strumenti, anche culturali, per poter assumere delle decisioni. Ciò non sempre avviene. Ciascuno di noi, rispetto ad alcuni argomenti, non ha la preparazione sufficiente per compiere delle scelte. Di più: ci sono argomenti di cui, legittimamente, non ci si vuole occupare perché non si è interessati. Questo pone anche un altro problema, quello della partecipazione al voto: ci potremmo trovare in situazioni in cui si è ben lontani dal raggiungere il numero legale».
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