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Dal medium alla fragolapesce: scienza, pseudoscienze e paranormale
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Scienza, tecnologia, magia, epistemologia, leggende metropolitane, paranormale, pseudoscienze, fake news: come districarsi? Lo abbiamo chiesto al professor Lorenzo Montali, docente di Psicologia sociale all’Università di Milano-Bicocca, fra i maggiori studiosi delle leggende urbane a livello nazionale e internazionale.
 

Professor Montali, come definirebbe il paranormale?

 
«Per paranormale si intende una classe di fenomeni che comprende psicocinesi, telepatia, rabdomanzia, sensitivi, medium e personaggi come Uri Geller, piuttosto popolari qualche decennio fa. All’epoca sembrava che non ci fosse nessuno a fare il “comitato dell’altra campana” e che analizzasse sotto la lente della scienza questi fenomeni. Ma prima di analizzare un fenomeno e cercare una spiegazione alternativa bisogna capire se il fenomento esiste veramente. Di questi fenomeni paranormali parlavano solo quelli che ci credevano e coloro che ci speculavano sopra: si cercava invece un “protocollo sicuro” e proprio questo è stato uno degli spunti che, grazie al prezioso supporto di Piero Angela, portò nel 1989 alla fondazione del CICAP (allora Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), sul modello di analoghe organizzazioni attive negli Stati Uniti. Per la cronaca, l'illusionista e divulgatore scientifico James Randi offrì un premio di un milione di dollari a chi in una situazione controllata fosse riuscito a dimostrare l’esistenza di un fenomeno paranormale: nessuno ci riuscì».
 

Con l’accelerazione tecnologica degli ultimi anni è ancora così rilevante il mondo del paranormale?

 
«Oggi è diverso, perché in anni recenti sono montati moltissimo il complottismo e pseudoscienze come la pseudomedicina e la pseudoalimentazione. La differenza è questa: mentre il paranormale va contro le leggi della scienza, la pseudoscienza è “vestita” di scienza. La “P” dell’acronimo CICAP, infatti, passa da indicare il paranormale a designare le pseudoscienze, che si servono di un linguaggio di tipo tecnico-scientifico. La loro pericolosità è quindi anche dovuta al fatto che sfruttano la legittimità della scienza per accreditarsi presso il pubblico, ma le promesse che portano con sé sono senza fondamento».
 

Lei è considerato uno dei maggiori studiosi delle leggende urbane: potrebbe proporci un esempio particolarmente curioso di “leggenda metropolitana” per farci capire di cosa si tratta?

 
«Anni fa circolava per e-mail questa storia: “una ragazza che non tollera il pesce è stata ricoverata con in corpo proteine tipiche dei pesci, anche se non ne mangia. Colpa della fragola-pesce, del fatto che non sappiamo ciò che mangiamo e degli organismi geneticamente modificati”. Una narrazione legata alla condanna morale degli Ogm. Si sosteneva che fosse stata inventata una nuova fragola, inserendo nel suo Dna geni di un pesce artico resistente al freddo per renderla coltivabile in altre zone, come la Finlandia, raggiungendo così mercati nuovi. Ci sono tutte le caratteristiche della leggenda urbana: è impossibile rintracciare i protagonisti, che sono coperti da un anonimato totale. Persone e luoghi non sono in alcun modo identificabili».
 

Come è stato possibile smascherare questa leggenda urbana?

 
«È un lavoro, spesso, sapere se qualcosa è vero o falso. La fragola-pesce si incontrava addirittura in opinioni contrastanti espresse da biologi e genetisti: anche gli esperti possono cascarci. Ma la fonte originaria dove si trovava, o meglio, chi era? In questo caso si trattava di una comunicazione effettuata durante un congresso. Ma mentre gli articoli scientifici sono sottoposti al vaglio dei pari, altri scienziati che ne verificano i contenuti, nei congressi un controllo così strutturato non può esserci. Tornando alla nostra fragola-pesce, i due colleghi russi che ne avevano parlato hanno affermato solo di aver “innestato” il gene di un pesce in una fragola, ma non avevano aggiunto assolutamente nulla sulle conseguenze dell’esperimento. Tutti gli altri hanno costruito qualcosa di più e di diverso attorno a questo. La Food and Drug Administration statunitense ha infatti negato che un simile prodotto fosse mai stato diffuso sul mercato».
 

Perché queste narrazioni funzionano così bene e si diffondono in modo “virale” viaggiando sull’onda del passaparola e di internet?

 
«Queste storie funzionano – in questo senso – meglio di affermazioni astratte, perché forniscono un'esemplificazione concreta che è più facile da ricordare e da raccontare: esprimono desideri e paure, sono “sensori” di tendenze sociali. Non c’è verifica per le notizie false, ma circolano comunque perché piacciono, confermano pregiudizi e in un certo senso rispondono a un’esigenza di vendita. Ecco che arrivano le “leggende urbane”: racconti di avvenimenti anche e soprattutto da parte di persone socialmente vicine, ma senza alcun contatto diretto con gli avvenimenti narrati. Questo mette in evidenza una fragilità umana nella capacità di distinguere il vero dal falso: noi ci sentiamo in genere piuttosto sicuri di distinguere il vero dal falso, ma in alcuni casi siamo vulnerabili. Tendiamo a mettere in dubbio in dubbio la leggenda urbana quando cozza contro i nostri desideri e i nostri preconcetti, non quando li conferma».
 

La fiducia nella scienza si è incrinata?

«Osserviamo due fenomeni: da una parte, la scienza è il principale riferimento, dall’altra, l’elemento di novità è che in alcuni ambiti questa fiducia venga messa in discussione, talvolta mutuando il linguaggio della scienza stessa».
 

Come può il pubblico identificare con chiarezza il confine fra conoscenza scientifica e ciò che non lo è? Come possiamo difenderci?

 
«Questo è un problema enorme. Possiamo dire che ce lo stiamo ponendo finalmente in modo serio e che questo sia già un primo risultato, tuttavia, non si tratta solo del grande pubblico, ma anche di rendersi conto delle responsabilità che abbiamo al nostro interno, fra le comunità degli esperti, nel divulgare una comunicazione adeguata. Su quali elementi si deve invece fondare un'educazione alla fruizione dei media? In primo luogo sulla consapevolezza che noi tutti siamo esperti o abbiamo esperienza diretta di un numero limitato di oggetti, mentre siamo bombardati da informazioni che riguardano un'enorme varietà di questioni e problemi. Una formula utile potrebbe essere questa: ad affermazioni straordinarie devono seguire prove altrettanto straordinarie, quindi l’insegnamento che andrebbe diffuso sarebbe questo: chiedi, scrivi, “chiedi le prove”, ask for evidence».