Il numero di persone contagiate dal virus SARS-CoV-2 è tornato a crescere in maniera preoccupante tanto che prima alcune Regioni, poi il Governo hanno adottato nuove misure di contenimento. Il professor Giovanni Corrao, docente del Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi del nostro Ateneo, ha elaborato i dati degli ultimi mesi sull’andamento della pandemia in Lombardia, ricavandone modelli statistici che mostrano la progressione del fenomeno. «Non parlerei di impennata dei casi – precisa –. Ci troviamo di fronte ad una crescita del contagio, anche dei casi con sintomatologia grave, ma in ogni caso non si raggiungerebbe il fatidico numero di 1.500, che sono i posti di Terapia Intensiva attualmente attrezzati in Lombardia».
Professore, siamo in una situazione paragonabile a quella del marzo scorso?
Direi di no. L’esperienza serve e da questa esperienza abbiamo imparato molto. Hanno imparato i singoli medici, anche quelli del territorio che erano stati presi alla sprovvista. Abbiamo dei protocolli da seguire e questo aiuta. Terapie nuove non ce ne sono, ma somministrare precocemente un farmaco che era già disponibile garantisce un miglior rapporto tra numero di casi di persone infette e persone che hanno bisogno del ricovero in Terapia Intensiva.
Il sistema sanitario è andato in grave affanno.
L’epidemia si è sovrapposta alle differenze che ci sono tra regione e regione. Non è solo una questione di diversi sistemi sanitari perché il rischio contagio non è indipendente dal tessuto socio economico: pazienti con patologie croniche sono più esposti al rischio, lo stesso vale per la popolazione anziana e in situazioni di convivenza stretta, di disagio abitativo, la malattia si è diffusa di più.
Stando alle stime realizzate dai ricercatori di Statistica medica del Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi, le misure di contenimento possono ridurre in maniera significativa la crescita del contagio. Le nuove restrizioni volute dal Governo sono sufficienti?
Non è tanto la singola misura – anche se quelle adottate le sottoscriverei tutte – ad essere efficace quanto il segnale che viene dal Governo: c’è di nuovo un’allerta. La verifica rispetto a quanto abbiano funzionato l’avremo tra qualche settimana.
A proposito di tempestività, un aiuto potrebbe arrivare dal progetto “Alert Cov” che vede coinvolti l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istat e l’Healthcare Research & Pharmacoepidemiology, il centro interuniversitario che raggruppa 25 atenei e che lei dirige, con Bicocca capofila. Mercoledì 7 ottobre 2020 è stato firmato l’accordo che coinvolge anche sei Regioni, tra cui la Lombardia. Qual è l’obiettivo?
Si punta ad identificare precocemente i focolai di infezione. La domanda che ci poniamo è la seguente: avremmo potuto accorgerci “in anticipo” che stava accadendo qualcosa di anomalo se avessimo monitorato giorno per giorno le prescrizioni di lastre polmonari o farmaci ad azione anti-infiammatoria, dei ricoveri per polmonite, o ancora la ricerca in Google di alcune parole chiave (ad esempio coronavirus, ageusia, anosmia)? Abbiamo deciso, quindi, di monitorare l’andamento di questi eventi giorno per giorno. Questo potrebbe indicare precocemente che qualcosa sta andando fuori controllo in una determinata area, consentendo di attivarsi subito.
Con quale anticipo rispetto ad oggi?
Il dato che ci viene indicato dalla letteratura in materia è due settimane. In questa prima fase prendiamo i dati fin qui disponibili, identifichiamo i predittori e, in base a questi, pensiamo di riuscire ad anticipare le previsioni dei focolai. In un paio di mesi, questa prima parte del lavoro potrebbe essere pronta.
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