Come le nuove forme di comunicazione e l’intelligenza artificiale possono interferire sul diritto all’informazione - Bnews Come le nuove forme di comunicazione e l’intelligenza artificiale possono interferire sul diritto all’informazione

Come le nuove forme di comunicazione e l’intelligenza artificiale possono interferire sul diritto all’informazione

Come le nuove forme di comunicazione e l’intelligenza artificiale possono interferire sul diritto all’informazione
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Nell’ottobre 2019 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 28 settembre Giornata internazionale per l’accesso universale alle informazioni.

Con Nicola Canzian, ricercatore di Diritto Costituzionale e Pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Bicocca, approfondiamo le implicazioni che le nuove tecnologie e in particolare l’AI possono avere sul diritto all’informazione

Professore, qual è secondo lei il significato attuale del diritto all'informazione nel contesto globale? Come si è evoluto questo concetto nel corso degli ultimi anni?

Il diritto all’informazione è il diritto a cercare e ricevere liberamente informazioni: il suo “cuore” consiste proprio nel libero accesso alle fonti di informazione (articoli, saggi, servizi televisivi e così via). Si tratta di un diritto riconosciuto da numerose carte sovranazionali e da alcune costituzioni nazionali, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra. Per lungo tempo è stato inteso non solo – come ovvio – come il divieto di impedire l’accesso dei singoli alle fonti di informazione esistenti, ma anche e soprattutto come dovere dei poteri pubblici di assicurare che il mercato dell’informazione fosse ampio e plurale, ricco di punti di vista differenti. In concreto, dunque, ha portato a misure come il divieto di formazione di posizioni dominanti nel mercato e a forme di sostegno economico diretto o indiretto ai settori in difficoltà (come ad esempio quello dei giornali cartacei).
Oggi chiunque abbia una minima familiarità con mezzi informatici ha facile accesso a una quantità incredibile di informazioni, di ogni tipo e di ogni qualità. E quindi è proprio in questo contesto che il diritto all’informazione si sta evolvendo, nel senso di assicurare alla generalità della popolazione i mezzi informatici di accesso alla rete, ma anche e soprattutto la capacità di saperli effettivamente usare. Occorre fornire, agli studenti e anche agli adulti, le basilari competenze di alfabetizzazione che consentano di ricercare in modo efficace le notizie e di valutare l’attendibilità e la qualità delle diverse fonti reperibili.
Un'ulteriore e significativa tendenza, inoltre, è quella che vede un ruolo propulsivo dei poteri pubblici nel contrastare fenomeni come la diffusione di notizie false o di discorsi d’odio in rete, e questo grazie a forme di cooperazione con le grandi piattaforme online.

Con l'avvento di nuove tecnologie e dell'intelligenza artificiale, come sta cambiando il panorama della comunicazione e, di conseguenza, l'accesso all'informazione? L'AI può rappresentare una risorsa o una minaccia per il diritto all'informazione?

Le nuove tecnologie hanno ormai da tempo un impatto significativo sui media e, presumibilmente, lo avranno sempre di più nel prossimo futuro. Il giornalismo online, anche di testate autorevoli, è naturalmente orientato alla massimizzazione delle visualizzazioni dei propri contenuti; e gli algoritmi sono decisivi per “spingere” gli articoli, a prescindere dalla loro qualità e dall’importanza del loro contenuto. L’intelligenza artificiale pone questioni ulteriori. Si tratta di un mezzo dalle enormi potenzialità e, come tale, può avere utilizzi positivi o negativi sul mercato dell’informazione.
Può essere utilizzata dai giornalisti come potente ausilio nella raccolta dei dati, e in questo senso, è sicuramente una risorsa. E, senza particolari problemi, può servire a creare direttamente alcuni tipi di contenuti, come informazioni sul meteo o resoconti su eventi sportivi. Ma può anche essere utilizzata per fini più complessi e, in questo caso, il problema è assicurare l’attendibilità e la qualità di questi contenuti giornalistici (a cui si aggiunge la minaccia alla sopravvivenza di moltissimi posti di lavoro nelle case editrici).
I limiti dei sistemi di AI dovrebbero porre numerosi dubbi sulla loro utilizzabilità su larga scala per la produzione di contenuti: è nota, ad esempio, la grossa difficoltà dell’intelligenza artificiale a comprendere l’ironia o anche solo il tono di una frase. Allo stato delle cose, ritengo quindi che la presenza di un autore umano sia un requisito imprescindibile per un contenuto giornalistico che vada al di là di un mero resoconto di dati oggettivi.

Quali sono i rischi di disinformazione o manipolazione delle informazioni legati a queste tecnologie? E come possiamo tutelare i cittadini?

I rischi sono notevoli. L’AI può fornire risultati sbagliati (magari perché attinge a dati che sono errati all’origine), ma non solo. Ci sono diversi casi provati in cui l’AI ha prodotto risultati di pura invenzione, addirittura indicando fonti giornalistiche inesistenti. Questi fenomeni, che prendono il nome di “allucinazioni”, segnalano un dato molto preoccupante. I sistemi di AI si basano su un modello probabilistico, per cui è possibile che rispondano a una domanda inventando dei dati privi di effettivo riscontro, in base a un procedimento difficile da ricostruire (tanto da risultare oscuro, talvolta, ai suoi stessi sviluppatori). Per cui l’uso indiscriminato di questa tecnologia ha, in sé, un rischio significativo che dovrebbe imporre sempre una verifica ulteriore da parte dei giornalisti che vi ricorrono. Ma non solo. L’AI generativa è ormai in grado di produrre immagini, audio e video sempre più credibili, e questi contenuti possono essere creati e fatti circolare con la precisa intenzione di inquinare il mercato dell’informazione. Pensiamo, ad esempio, a contenuti che falsamente raffigurano un candidato politico in attività illecite o anche soltanto disdicevoli in prossimità del voto, e alle conseguenze della diffusione di questi contenuti sul corpo elettorale.

I cittadini possono dunque tutelarsi evitando di informarsi soltanto da un’unica fonte, specie se si tratta di una fonte non giornalistica (come può essere la bacheca di un social network): è necessario che si diffonda la consapevolezza dei rischi di disinformazione e che di conseguenza gli utenti si rivolgano a fonti professionali e diversificate.

Guardando al futuro, quali misure o politiche dovrebbero essere implementate per garantire un accesso equo e universale all'informazione, soprattutto considerando l'impatto delle nuove tecnologie?

Una pre-condizione di questo diritto è sicuramente l’accesso ai mezzi d'informazione, e in particolare oggi, a Internet. Quindi, ad esempio, sono necessarie misure che assicurino la possibilità di una connessione anche nelle località in cui fornire una copertura di rete non è economicamente remunerativo per gli operatori del settore. Ma soprattutto credo che le politiche più efficaci siano quelle che investono sull’educazione e l’alfabetizzazione (non solo digitale) dei cittadini, e che quindi diffondono gli strumenti per un uso consapevole dei mezzi di comunicazione di massa.

Oggi sono sempre più necessarie competenze diversificate: in generale una sufficiente capacità di comprensione e decodificazione di un testo; più in particolare poi, la capacità di distinguere fra le varie fonti a cui siamo esposti in rete. A questo aggiungo anche che dovremmo avere tutti una maggiore propensione a cercare in ogni caso una verifica di quanto riportato da fonti che pure riteniamo plausibilmente autorevoli.

Infine è importante anche diffondere negli utenti la consapevolezza che l’informazione professionale è un’attività complessa e costosa e che, come tale, merita di essere pagata. Non possiamo ragionevolmente ritenere che il diritto all’informazione sia gratuito. E anche questo è un problema, considerata la scarsa propensione alla remunerazione dell’informazione online da parte degli italiani fruitori di questi canali di informazione.

Ho invece dei dubbi sull'attuale tendenza, presente ad esempio nella più recente normativa europea, a prevedere forme di co-regolamentazione fra poteri pubblici e grandi piattaforme telematiche (come i social network) per impedire la circolazione di contenuti ritenuti nocivi. Per quanto sia animata da buone intenzioni, questa tendenza può però porsi in collisione con la tutela della libertà di manifestazione del pensiero, cioè di una libertà che mal si concilia con l’idea di una verità “ufficiale”. È per questo che trovo più convincenti le azioni che, invece, danno maggiore fiducia alla capacità di discernimento dei singoli utenti.