Professore, come definiamo il concetto del “sé” in psicologia? Come si evolve?
In psicologia, il concetto del "sé" rappresenta un costrutto complesso e sfaccettato, che si riferisce alla consapevolezza e percezione che un individuo ha di se stesso. Non esiste una definizione univoca, poiché il sé è stato oggetto di numerose teorie e interpretazioni nel corso del tempo. Tuttavia, si può affermare che il sé possa essere assimilato a quello di autoconsapevolezza, che racchiude l’insieme delle esperienze, delle credenze, dei valori, delle emozioni e delle rappresentazioni mentali che una persona possiede riguardo a chi è, al suo ruolo sociale e alle sue aspirazioni.
Un importante avanzamento dal punto di vista teorico è rappresentato dal modello proposto da Tory Higgins, che descrive il sé come un costrutto tripartito, costituito da tre dimesioni principali: il sé reale, il sé ideale e il sé normativo. Questa teoria aiuta a comprendere come le discrepanze tra queste diverse rappresentazioni possano influenzare le emozioni, il comportamento e il benessere psicologico di una persona.
Cosa si intende, quindi, per "sé tripartito"?
Il concetto di "sé tripartito" emerge appunto dalla teoria della discrepanza del sé, elaborata dallo psicologo Tory Higgins a cavallo degli anni Novanta. Secondo questa teoria, il sé è composto da tre rappresentazioni fondamentali che “convivono” all'interno di ogni individuo. La prima è il sé reale, che corrisponde alla percezione di ciò che siamo realmente. Esso rappresenta la versione di sé che la persona riconosce come più vera e aderente alle sue esperienze e sensazioni interne.
La seconda è il sé ideale, ovvero la proiezione di ciò che vorremmo essere, spesso ispirata a desideri e aspirazioni personali. Il sé ideale, quindi, è costruito attorno a ciò che una persona desidera diventare, influenzando comportamenti e scelte. Quando esiste una forte discrepanza tra il sé reale e quello ideale, possono emergere sentimenti di insoddisfazione, frustrazione o inadeguatezza.
Infine, il sé normativo rappresenta ciò che pensiamo di dover essere secondo le norme sociali condivise che abbiamo interiorizzato. Ad esempio, una donna potrebbe sentire la pressione di conformarsi a ideali estetici specifici, oggi veicolati attraverso i social media (come ad esempio avere un corpo perfettamente in forma), poiché la società impone standard elevati sull'apparenza fisica femminili.
È importante sottolineare come queste tre dimensioni non siano statiche, ma entrino continuamente in relazione tra loro, influenzando il nostro comportamento e le nostre emozioni, soprattutto quando percepiamo delle discrepanze tra il nostro sé reale e le altre due rappresentazioni.
A questo proposito, lei ha citato una delle tecnologie che più di tutte è entrata a fare parte della nostra vita: i social media. In che modo internet e le piattaforme social hanno contribuito all'evoluzione/cambiamento del sé?
Internet e i social media hanno profondamente modificato le dinamiche del sé, rendendo sempre più fluida la distinzione tra ciò che siamo online e ciò che siamo offline. Nei primi anni di diffusione del Web 1.0, il sé online era considerato una dimensione separata, spesso percepita come "finta" rispetto al sé reale.
Tuttavia, con l’avvento dei social media e della connettività costante, questa distinzione ha perso di significato. Le persone lasciano tracce digitali del proprio sé in vari ambienti virtuali, e il loro sé si manifesta continuamente attraverso post, immagini e interazioni online, anche quando non sono attivamente connesse.
Questa nuova condizione ha portato alla concettualizzazione del sé diffuso, che unisce indissolubilmente le dimensioni online e offline. Le tecnologie digitali permettono di curare l'immagine di sé in modi prima impensabili, favorendo il controllo sulla propria presentazione sociale, ma allo stesso tempo amplificando i confronti sociali. Questo fenomeno è particolarmente evidente nell'uso dei selfie, che non solo riflettono l'immagine ideale di una persona, ma stimolano costantemente il confronto con l’immagine degli altri.
Quindi, qual è la relazione che abbiamo con il sé negli ambienti digitali?
Negli ambienti digitali, la relazione che intratteniamo con il nostro sé è complessa. Le interazioni online offrono opportunità di espressione e sperimentazione che non sempre trovano spazio nella vita quotidiana. Ad esempio, l’utilizzo di un avatar o di una particolare foto del profilo social consente di rappresentare aspetti di noi stessi che desideriamo mostrare agli altri.
Tuttavia oggi non solo ci presentiamo online tramite una foto profilo, ma possiamo anche costruire un avatar tridimensionale. Si tratta di una rappresentazione corporea del nostro sé, in grado di farci interagire in ambienti tridimensionali che hanno una dimensione spaziale. Sto facendo riferimento agli ambienti del metaverso e basati su tecnologie di realtà virtuale.
In questi ambienti, le caratteristiche degli avatar influenzano non solo le impressioni altrui, ma anche la percezione che noi stessi abbiamo di chi siamo. Attraverso l'interazione attiva con il proprio avatar, le qualità digitali di quest’ultimo possono essere interiorizzate nel nostro concetto di sé, portando a cambiamenti nel comportamento anche nei contesti offline.
Quali possono essere le conseguenze dell'uso delle tecnologie digitali rispetto al sé?
Le conseguenze sono molteplici e si manifestano sia in termini positivi che negativi. Da un lato, queste tecnologie offrono un’opportunità unica per sperimentare e costruire diverse versioni di sé, in contesti che spesso vengono percepiti come meno rischiosi rispetto alla vita offline. Questo può favorire l’esplorazione di valori, opinioni e identità, soprattutto durante l’adolescenza, una fase critica per la definizione del proprio posto nel mondo sociale.
Dall’altro lato, il confronto sociale costante, reso pervasivo dall’uso dei social media, può avere effetti negativi sulla percezione di sé, in particolare quando le persone si confrontano ripetutamente con immagini idealizzate degli altri.