Capire il clima che cambia: come le temperature del suolo influenzano la circolazione atmosferica globale - Bnews Capire il clima che cambia: come le temperature del suolo influenzano la circolazione atmosferica globale

Capire il clima che cambia: come le temperature del suolo influenzano la circolazione atmosferica globale

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In un momento in cui la comunità globale sta per riunirsi a Dubai per la COP 28, il vertice delle Nazioni Unite sul clima che si svolgerà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, cerchiamo di capire meglio alcuni meccanismi che legano le temperature del suolo e la circolazione atmosferica.

Abbiamo intervistato Alice Portal, ricercatrice all’Università di Berna dopo aver ricevuto il dottorato all’Università Milano - Bicocca presso il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra, sotto la supervisione della professoressa Claudia Pasquero, e autrice di due pubblicazioni che esplorano l’influenza delle temperature del suolo sulla circolazione atmosferica invernale alle medie latitudini.

Affrontando questioni come la rilevanza delle temperature dei continenti nel modulare il clima invernale, e le differenze tra i diversi modelli climatici nella rappresentazione della temperatura al suolo, le autrici, insieme ad altri tre esperti delle scienze atmosferiche, offrono un contributo importante alla tematica delle proiezioni climatiche. Il loro lavoro fornisce nuove prospettive scientifiche, ma ci rammenta anche dell’urgenza dell’azione di fronte alla sfida cruciale del nostro tempo, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Dott.ssa Portal cosa s’intende per regioni a media latitudine e perché è importante esaminarle dal punto di vista climatico?

Le regioni a media latitudine sono quelle situate approssimativamente tra i 30° e i 60° di latitudine, sia nell'emisfero settentrionale (o boreale) che in quello meridionale. Qui parliamo delle medie latitudini nell’emisfero settentrionale poiché caratterizzate da una maggiore proporzione di terre emerse. Per via del loro clima temperato, sono le aree a più alta densità abitativa, ma sono anche le zone per le quali è più difficile fare previsioni, sia meteorologiche (a distanza di giorni) che climatiche (a distanza di decenni). Nell’emisfero boreale l’Europa, gli Stati Uniti, la Cina settentrionale e il Giappone si trovano tutti in questa fascia di latitudine.

Ci può illustrare i meccanismi che guidano la circolazione atmosferica invernale?

Le medie latitudini sperimentano cambiamenti stagionali più distinti rispetto alle zone equatoriali. Il clima e il meteo dipendono, soprattutto durante l’inverno, dalla presenza di venti ad alta quota che soffiano prevalentemente da ovest verso est, organizzati nella cosiddetta “corrente a getto”. La corrente a getto trasporta per migliaia di chilometri i sistemi meteorologici che causano le perturbazioni atmosferiche, ad esempio i cicloni extratropicali che colpiscono l’Europa con pioggia e vento (recentemente abbiamo sentito parlare di Ciaran).

Cosa succede quando le temperature del suolo aumentano?

In inverno le differenze di temperatura tra i continenti e gli oceani - più caldi i secondi perché capaci di trattenere parte del calore assorbito durante la stagione estiva - contribuiscono a sostenere la corrente a getto. Un forte riscaldamento dei continenti cambia l’intensità e la posizione di questa corrente atmosferica e di conseguenza modifica le zone geografiche più colpite dalle perturbazioni atmosferiche. I nostri risultati evidenziano che questo succede quando l’aumento di temperatura interessa vaste zone affacciantisi sulle coste orientali dei continenti (parliamo di estensioni di migliaia di chilometri nell’Asia centro-orientale e della parte orientale del continente nord-americano).

Qual è stata la motivazione principale che l’ha spinta a concentrare la ricerca su questo tema?

Nella nostra comunità scientifica un tema molto dibattuto è quello dell’influenza dello scioglimento dei ghiacci polari sulla circolazione atmosferica delle medie latitudini. Si parla molto meno dell’influenza dell’aumento della temperatura del suolo sull’atmosfera, nonostante i vari documenti dell’IPCC sul cambiamento climatico mostrino un segnale termico robusto (ovvero coerente attraverso tanti modelli). I principali lavori scientifici che trattano il ruolo della temperatura dei continenti nella circolazione atmosferica risalgono a diversi decenni fa; insieme al gruppo di lavoro abbiamo pensato che fosse l’ora di rilanciare questo argomento e di studiarlo dalla prospettiva dei cambiamenti climatici in corso.

Quali sono le principali conclusioni e risultati emersi dal lavoro sull’influenza delle temperature superficiali in Asia e in Nord America sulla circolazione atmosferica a larga scala? C'è stato qualcosa di sorprendente o inaspettato nei risultati ottenuti?

Nel nostro studio abbiamo “forzato” il modello globale dell’atmosfera scelto, facendo aumentare alternativamente le temperature superficiali del Nord America e dell’Asia centro-orientale. Ci saremmo aspettate reazioni atmosferiche di entità simili, indipendenti dal continente “surriscaldato”. E invece no: il comportamento del modello dipende fortemente dal continente che si decide di scaldare, ed è molto più sensibile all’aumento di temperatura dell’Asia centro-orientale. Siamo convinte che questo sia dovuto alla presenza di grandi catene montuose - in primis il plateau tibetano - nella parte orientale del continente asiatico: l’elevazione amplifica l’interazione tra la temperatura del suolo e la corrente a getto, rendendo le zone a valle (a est) molto sensibili ai cambiamenti di temperatura sul plateau.

Nella vostra ricerca menzionate la grande variabilità tra i modelli climatici nel rappresentare le temperature in Asia, in particolare sul plateau tibetano. In che modo questa variabilità influenza le previsioni climatiche e quali sfide presenta nel comprendere l'interazione terra-atmosfera in queste regioni?

I modelli climatici globali sottostimano la temperatura superficiale sulle grandi catene montuose, o danno risultati molto diversi tra loro, per via delle difficoltà nel rappresentare gli scambi tra la superficie terrestre e l’atmosfera su un terreno morfologicamente complesso. La vasta estensione del plateau tibetano e la sua elevazione fanno sì che le temperature di questa regione influenzino fortemente il clima di regioni ad alta densità di popolazione, come ad esempio la costa orientale della Cina. Se i modelli non riescono a rappresentare le temperature superficiali attuali sul plateau e se mostrano valori molto diversi tra loro, risulta difficile credere all’affidabilità delle proiezioni climatiche che ne modellizzano l’evoluzione, o alle conseguenze della sua futura evoluzione sulle regioni a est della catena montuosa.

Come pensate che i vostri risultati possano contribuire alla nostra comprensione del cambiamento climatico e delle proiezioni future? Ci sono implicazioni pratiche o decisionali che potrebbero derivare da queste scoperte?

Uno spunto interessante sorge dalla combinazione del nostro lavoro con un aspetto robusto del cambiamento climatico: l’amplificazione del riscaldamento con l’altitudine. La dipendenza del riscaldamento superficiale dalla quota del terreno (in inglese: “elevation dependent warming”) si evince sia dagli andamenti climatici degli ultimi decenni, sia dalle previsioni del clima futuro, e coinvolge anche la regione del plateau tibetano, con potenziali impatti sul clima sulle coste orientali dell’Asia. Come abbiamo già accennato sopra, la grande variabilità dei modelli nel rappresentare le temperature presenti e future nella regione tibetana ha un effetto deleterio sulla qualità delle proiezioni climatiche anche nelle zone geografiche contigue, dove risulta difficile fare piani di adattamento sul lungo termine proprio a causa dell’incertezza delle proiezioni. Il miglioramento della modellizzazione dell’interazione tra il suolo e l’atmosfera sulle catene montuose potrebbe favorire l’affidabilità di queste previsioni a lungo termine. Molti istituti che si occupano di modellistica del clima sono consapevoli di questa mancanza, e stanno organizzando campagne di osservazioni (volte ad effettuare misure scientifiche) per affrontare il problema.

Riguardo alle prospettive future per la ricerca in questo campo, quali approcci o metodologie ritenete sarebbero utili per approfondire ulteriormente questo argomento?

Le campagne di misure scientifiche cui accennavamo nella risposta precedente sono sicuramente importanti per migliorare la modellizzazione delle interazioni tra suolo e atmosfera. Infatti, soprattutto attorno al plateau tibetano, la comunità scientifica dispone di una quantità esigua di osservazioni atmosferiche, e questo limita la possibilità di paragonare i modelli alla realtà.

In questa intervista abbiamo parlato di errori di modellizzazione dell’interazione tra terreni montuosi (morfologicamente complessi) e atmosfera. Tuttavia questa interazione è importante ovunque, per esempio per stimare l’umidità e la temperatura del suolo durante i mesi estivi, due variabili essenziali per la previsione delle ondate di calore e degli eventi di siccità. Comprendere e semplificare le interazioni suolo - atmosfera su scale spaziali piccole (dell’ordine di pochi chilometri) è quindi una sfida importante, che si può affrontare con uno strumento nuovo quale l’intelligenza artificiale. Crediamo che un miglioramento nella modellizzazione di questi processi locali avrebbe ricadute positive sia sulle previsioni di eventi singoli quali le ondate di calore, sia, come già discusso, sulla rappresentazione della circolazione atmosferica a grande scala.

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