Dopo le tre grandi rivoluzioni tecnologiche associate al vapore, all’energia elettrica e all’Information Technology, il mondo nuovo dell’Internet “delle cose” e degli oggetti smart – “intelligenti” – viene sempre più spesso rappresentato come il prodotto di una quarta rivoluzione industriale. Ma come cambierà il lavoro in un futuro che si avvicina sempre più rapidamente? Per aprire le porte delle nuove organizzazioni 4.0 abbiamo provato a salire sulla macchina del tempo insieme al professor Cristiano Ghiringhelli, docente di Organizzazione aziendale al Dipartimento di Scienze umane per la formazione “Riccardo Massa”, per scoprire che, dove il confine fra presente e futuro si fa sempre più sfumato, forse di viaggiare nel tempo non c’è quasi più bisogno.
Professor Ghiringhelli, come cambia il lavoro nell’industria 4.0?
Nelle smart factories il ruolo degli addetti cambia radicalmente: agli umani viene affidato prevalentemente un compito di controllo in tempo reale dei processi organizzativi e di decision-making che richiede evolute capacità di analisi di situazioni complesse, problem-solving e auto-organizzazione del lavoro. Mansioni di questo tipo sono basate su interazioni continue non solo fra persone, ma anche con macchine e sistemi: alla base dell’azione umana vi è quindi la capacità di leggere, interpretare e utilizzare i molteplici dati prodotti da queste interazioni.
Ma chi è il “lavoratore 4.0”?
Si sente spesso usare l'espressione augmented operator: come accade nella realtà aumentata – ad esempio – l’operatore di un centro di distribuzione logistica può ottenere informazioni su provenienza, destinazione, peso, contenuto, conservazione e molte altre ancora semplicemente osservando il pacchetto attraverso dispositivi indossabili come gli occhiali tecnologici sviluppati da Google. Similmente, il collega incaricato della consegna del pacco percorrerà un itinerario sviluppato da un sistema che tiene conto del traffico e dei cambiamenti di indirizzo fatti dal cliente all’ultimo minuto, il tutto ottimizzando consumi, tempi e impatti ambientali.
Cosa è cambiato rispetto agli ambienti lavorativi che siamo abituati a immaginare?
Tutto questo identifica un ambiente di lavoro profondamente diverso in termini di contenuti, processi, ruoli e responsabilità: un ambiente centrato su leadership distribuita, responsabilità diffusa, partecipazione e apprendimento continuo da parte non solo delle persone, ma anche del sistema organizzativo. Queste caratteristiche permettono di apprezzare le numerose opportunità introdotte dall’approccio Industry 4.0: dall’arricchimento del proprio lavoro ad un ambiente più stimolante, da una maggiore autonomia a migliori opportunità di sviluppo e crescita professionale.
La transizione verso un nuovo modo di lavorare comporta anche dei rischi?
Ci sono molte questioni-chiave che devono essere analizzate attentamente. La trasformazione del fabbisogno di alcune posizioni, per esempio: non solo quelle ad alto contenuto di lavoro manuale e ripetitivo, ma anche quelle di coloro che in passato sono stati definiti “lavoratori della conoscenza” possono essere coinvolte da questo cambiamento. Inoltre, va considerato che il mutamento dei contenuti, dei processi e degli ambienti di lavoro è tanto radicale da generare ripercussioni non indifferenti in termini di flessibilità, orari di lavoro e work-life balance che richiederebbero nuove politiche e pratiche di regolazione al momento ancora da sviluppare. In generale, è una transizione che non può essere inquadrata all'interno delle tradizionali chiavi di lettura novecentesche.
Quali nuove sfide si prospettano nello sviluppo delle risorse umane?
L’approccio dell’industria 4.0 inevitabilmente trasforma anche i profili di competenza dei lavoratori. Al fabbisogno di competenze nuove come la capacità di districarsi fra grandi quantità di dati – big data – si aggiungerà la necessità di sviluppare abilità sociali sufficientemente evolute da consentire di misurarsi con interazioni sia fisiche, sia abilitate da sistemi tecnologici, che superano le tradizionali separazioni fra unità e funzioni organizzative, e che puntano nella direzione di una forte interdisciplinarità.
E quali riflessi ci saranno sulla formazione del personale del futuro?
Tra le organizzazioni in una fase avanzata di applicazione dell’Internet of Things ai processi industriali si è già diffusa una certa preoccupazione in merito alla probabile mancanza di figure professionali dotate di questi profili di competenza, o skill-shortage. Si apre inoltre il problema della riqualificazione del personale già inquadrato ma selezionato sulla base di requisiti di competenza molto diversi. Tutto questo introduce la necessità di far leva su iniziative specifiche di formazione e sviluppo, anche con modalità digitali, ma soprattutto la necessità di adottare un’organizzazione del lavoro tale che l’apprendimento sia insito nell’attività lavorativa stessa. La tensione verso il costante sviluppo di competenze richiede poi approcci e strumenti di assessment sistematici, volti a realizzare un bilancio delle skills periodicamente aggiornato. In questo quadro diventa urgente accelerare il processo, già da qualche anno promosso in sede europea, di collegamento tra formazione scolastica e accademica, fra l’istruzione formale post-laurea e quella formazione non-formale e informale che trova il suo luogo d’elezione proprio nell’ambito dell’attività professionale.