Il turismo stravolgerà il pianeta? L’overtourism sta influenzando la qualità di vita dei residenti e le esperienze dei visitatori. Nel primo trimestre 2024, il turismo ha raggiunto il 97% dei livelli pre-pandemia, con oltre 285 milioni di turisti internazionali, circa il 20% in più rispetto al 2023. Le comunità locali stanno reagendo: ad aprile, alle Canarie, più di 50mila persone hanno protestato contro il turismo di massa; il 6 luglio, a Barcellona, migliaia di cittadini (gli organizzatori parlano di 20 mila persone) hanno manifestato contro i turisti sulla Rambla.
Il fenomeno colpisce anche l’Italia. Una recente indagine di Demoskopika ha elaborato un “Indice complessivo di sovraffollamento turistico", che mostra alti livelli di sovraffollamento in città come Rimini, Bolzano, Livorno, Trento, Verona e Napoli, con Venezia in testa con oltre 14 mila turisti per chilometro quadrato. Anche le mete secondarie, come le Cinque Terre, sono prese d’assalto e provano a regolare i flussi turistici con semafori sui sentieri, biglietti di ingresso, droni; lo stesso vale per borghi e aree montane sempre più congestionate.
Affrontiamo queste tematiche con Monica Bernardi, prof.ssa associata di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Milano-Bicocca.
Quali sono le ricadute del sovraffollamento turistico?
L’overtourism sta irrimediabilmente trasformando l’assetto urbano, con impatti economici, sociali, culturali, ambientali. La presenza massiccia di turisti spinge verso una netta omogeneizzazione commerciale, facendo scomparire o alterando le imprese e attività commerciali locali e tradizionali come le botteghe, sostituite da negozi di souvenir e brand internazionali che colonizzano i centri storici.
Il settore immobiliare turistico cresce togliendo alloggi al mercato a lungo termine, con notevole aumento dei prezzi, esteso ai beni di consumo e servizi vari: interi quartieri si svuotano di residenti e si riempiono di turisti, con turn over sempre più elevati. Questo causa congestione e sovraffollamento nelle strade, nei mezzi di trasporti, nei servizi e nello spazio pubblico, generando stress e tensioni sociali, oltre a degrado urbano e aumento dei rifiuti e del rumore, in un processo continuo di consumo della città. Non solo consumo, anche mercificazione, sfruttamento, privatizzazione, disneyificaizone, di città sempre più piegate, prostrate e modellate per fare spazio ai flussi di turisti. Città che fanno leva sul proprio genius loci come moneta di scambio, e sull’identità che le contraddistingue come strategia di marketing territoriale. Il dogma dell’attrattività, la corsa per stare e primeggiare nella competizione internazionale, per attrarre turistici e investimenti, diviene il tutto, a scapito di chi e quanto c’è. E anche la rincorsa all’autenticità rischia di tradursi in messa in scena, simulacro, riproduzione.
È possibile contrastare l’overtourism? Con quali strumenti e iniziative?
La chiave è la governance della destinazione: se la gestione è consapevole e sostenibile, il turismo può rappresentare una opportunità di arricchimento culturale e di sviluppo, viceversa diviene una minaccia per il territorio.
L’Organizzazione Mondiale del turismo (UNWTO) (in Overtourism? Understanding and Managing Urban Tourism Growth beyond Perceptions) propone 11 strategie e 68 misure, tra cui incentivare la dispersione dei turisti nelle città e oltre, nel territorio, promuovere il turismo fuori stagion e in mete meno note, creare nuovi itinerari e attrazioni, attrarre tipologie di viaggiatori più responsabili e coinvolgere di più le comunità locali. Serve coraggio per mettere in discussione il sistema attuale, che ha come stella polare il profitto e si appoggia su reticoli relazionali pervasivi e potenti, ad esso orientati e da esso promossi.
Cosa si sta facendo all’estero per combattere l’overtourism?
Molte città stanno provando a introdurre delle risposte. Abbiamo esempi di intervento nelle grandi città asiatiche. In Giappone, a Kyoto, i turisti sono banditi dalle stradine secondarie del quartiere delle geishe; a Hiroshima, alcuni locali limitano l’ingresso ai soli residenti in alcuni giorni della settimana; a Seoul, il Bukchon Hanok Village diventerà la prima “area di gestione speciale” del paese con limiti di accesso per i turisti.
In Europa, molto attiva in questo senso è Amsterdam (20,6 milioni di visitatori nel 2023) che ha vietato il consumo di erba all’aperto e le visite guidate nel quartiere a luci rosse, aumentato la tassa di soggiorno, limitato le navi da crociera – del tutto bandite dal 2035 – e vietato, da aprile 2024, la costruzione in città di nuove strutture alberghiere. Già nel 2023 aveva lanciato la campagna stay away, per scoraggiare i turisti tra 18 e 35 anni che di norma la visitano per l’alcool, la prostituzione e le droghe. Sono tutte scelte che avranno conseguenze economiche, ma mettono in luce la volontà dell’amministrazione di rendere la città più vivibile, più pulita e sostenibile.
La strada da seguire, quindi, è scoraggiare in generale il flusso turistico, o alcuni tipologie di viaggiatori in particolare?
Non è l’unico approccio possibile. Copenaghen, ad esempio, sta premiando i visitatori che adottano comportamenti sostenibili. Con l’iniziativa Copen Pay, dal 15 luglio i turisti che usano la bici, o i mezzi pubblici, partecipano ad attività eco-friendly e rispettano le norme locali, ricevono delle ricompense, come biglietti gratuiti per i musei, pasti e noleggi gratuiti. Certo, Copenaghen è campionessa di sostenibilità da anni, e prova anche a coinvolgere i turisti in attività di cittadinanza attiva, come pulire le spiagge e partecipare a laboratori di riciclo.
In Italia, Venezia ha introdotto un biglietto di ingresso per i visitatori giornalieri, i cosiddetti turisti mordi-e-fuggi. Per ora il sistema è testato in versione limitata a 29 giornate nell’arco dell’anno, e pare che nei primi otto giorni di prova il Comune abbia già superato gli introiti che aveva preventivato per i primi tre mesi (723mila euro incassati). La misura quindi, è probabilmente troppo “timida” per incidere. Inoltre, non sono state imposte né soglie massime né limiti alle presenze.
In generale, le città vittime di sovraffollamento necessitano di interventi più coraggiosi. Le misure “timide” non solo non risolvono il problema, ma creano ulteriore malcontento tra i cittadini, che si sentono presi in giro. L’approccio pioneristico di Copenaghen è interessante, ma potrebbe non funzionare ovunque. Per i critici “premiare” i turisti sostenibili potrebbe essere visto come discriminatorio verso chi non può permettersi attività costose o non conosce l’iniziativa e i comportamenti sostenibili potrebbero essere adottati solo per la ricompensa e non per vera consapevolezza
Guardando al fenomeno dal punto di vista dei visitatori, bisogna affrontare il tema delle motivazioni che spingono al viaggio: i luoghi non stanno diventando sempre di più dei semplici “fondali” per scattare selfies, da postare sui social?
La FoMO, Fear of Missing Out, l’ansia di perdersi un’esperienza gratificante che altri stanno vivendo, spinge a un uso massiccio dei social e influisce anche sul processo di consumo turistico, con il rischio di svuotare di senso l’esperienza turistica: l’importante diventa esserci, visitare quella destinazione, scattare quel selfie, a prescindere da quanto autentica o meno quell’offerta turistica ancora sia. Sappiamo che spesso le mete vengono scelte perché mostrate dai travel influencer e il battage mediatico alimenta ulteriormente l’allure della destinazione. Ad esempio, in Austria, Hallstatt, 800 abitanti in tutto, patrimonio dell’Umanità Unesco, è stata travolta dall’overtourism: per evitare il rischio “parco a tema”, i residenti hanno chiesto all’amministrazione di intervenire, introducendo limiti all’accesso di auto e bus, costruendo una barriera di legno a parziale copertura del panorama e persino introducendo restrizioni alla pubblicazione di foto sui social.
Un ultimo aspetto utile da sottolineare riguarda poi l’ambiente.
Certo, oggi più che mai overtourism e crisi climatica vanno tenuti insieme, adottando un approccio olistico, senza paura di sacrificare il profitto a vantaggio della salute e della qualità della vita di persone, territori e ambiente. Il turismo oggi deve ripensarsi anche e soprattutto in chiave ambientale. Indubbiamente il clima crea un danno reputazionale a un settore che è al contempo causa e vittima del cambiamento climatico: gli eventi estremi o il caldo estremo impattano e impatteranno sempre di più sulle destinazioni e sulla qualità dell’esperienza turistica, fino a metterla in discussione. Anche se non c’è ancora un allarme generalizzato, il settore dovrà adattarsi, garantendo di non contribuire ulteriormente al cambiamento climatico e di essere in grado di adattarsi. In Europa un turista su 3 sta già adattando le proprie vacanze alle condizioni climatiche, evitando luoghi con alte temperature o rischio di eventi estremi, o scegliendo periodi diversi dell’anno. Entro pochi anni, avremo un turismo più attento alla qualità climatica. Servirà quella che il giornalista Ferdinando Cotugno chiama “una piattaforma nazionale di adattamento del turismo e dei suoi strumenti” per garantire di essere un Paese, nel caso dell’Italia, climaticamente sicuro per i turisti.