Dall’alto Sebino al Giappone. Il ruolo di Bicocca nel gruppo di ricerca sul lago pleistocenico di Pianico-Sellere - Bnews Dall’alto Sebino al Giappone. Il ruolo di Bicocca nel gruppo di ricerca sul lago pleistocenico di Pianico-Sellere

Dall’alto Sebino al Giappone. Il ruolo di Bicocca nel gruppo di ricerca sul lago pleistocenico di Pianico-Sellere

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In Giappone, all’interno del Varve Museum, che ospita la più importante esposizione mondiale dedicata alle varve (sedimenti annualmente laminati) sarà presente dal prossimo anno anche il lago pleistocenico di Sovere (Bergamo), unico esemplare italiano.
Ne parliamo con la dottoressa Clara Mangili, del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell'Università di Milano - Bicocca.


Dottoressa Mangili, ci può spiegare che cos’è esattamente un lago pleistocenico?

Con “lago pleistocenico” si indica un lago che è esistito durante una parte del Pleistocene, cioè l’epoca del Quaternario che va da 2,58 milioni di anni fa a 11.700 anni fa. In particolare, il lago di Pianico-Sellere oggi non esiste più ed è per questo che è più corretto parlare di paleolago.
Il bacino lacustre occupava l’area compresa tra l’abitato di Sovere e la forra del Tinazzo, presso Castro, per una lunghezza di circa 3 chilometri e una larghezza di 800 m.

Probabilmente circa 14.000 anni fa, il torrente Borlezza, che attraversa la valle omonima, iniziò ad incidere quelli che erano i depositi del paleolago, portandoli alla luce e rendendoli visibili a chi si avventura lungo le rive del torrente.

Il paleolago ebbe vita lunga e i depositi lacustri più antichi affiorano oggi alla base delle pareti dei depositi e anche nel letto del torrente Borlezza. Questi sono sedimenti che si sono depositati durante un periodo interglaciale precedente all’attuale, quando l’influsso delle attività umane sul clima era minimo, se non nullo.
Quale esattamente sia questo periodo interglaciale è ancora oggetto di dibattito. Al momento due sono le età proposte: 400.000 o 800.000 anni fa; ulteriori studi saranno necessari per cercare di assegnare un’età definita alla sequenza interglaciale.


Nei giorni scorsi l’area di interesse paleontologico tra Sovere e Sellere è stata studiata da un team nipponico. Perché c’è stato un grande interesse verso questo sito da parte dei ricercatori giapponesi?

Il paleolago di Pianico-Sellere è conosciuto dalla metà del 1800 per i suoi sedimenti, ricchi anche di resti di vegetali e animali dell’epoca. Molti studiosi si sono avvicendati negli ultimi 25 anni, attratti dallo stato di conservazione dei sedimenti varvati e anche dal fatto che i sedimenti del lago siano esposti in numerosi affioramenti lungo le rive del torrente Borlezza.

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Utilizzando una sequenza di livelli “marker” ben definiti, è possibile correlare i sedimenti nei vari affioramenti, permettendo di “spostarsi” all’interno dell’antico lago e studiare sia i depositi vicino alle antiche rive sia quelli deposti verso il centro del paleolago.
In particolare, i sedimenti interglaciali di cui accennavo prima sono varvati, cioè presentano delle laminazioni a carattere annuale. Al fondo del paleolago, in primavera-estate di ogni anno, si depositava una lamina chiara formata quasi esclusivamente da calcite che precipitava nell’acqua del lago a seguito della fioritura delle diatomee, alghe unicellulari che ivi vivevano. Durante l’autunno e l’inverno si depositavano i frustuli delle diatomee, la sostanza organica che era in sospensione in acqua dalla primavera-estate, oltre a qualche microclasto di dolomia che è la roccia che affiorava intorno al paleolago: questi elementi costituivano la lamina scura a tetto della lamina chiara.

La coppia di lamine (chiara e scura) ha uno spessore medio di 0,5 mm e costituisce una varva: nella sequenza interglaciale del paleolago di Pianico-Sellere sono presenti circa 20.000 varve che permettono di ricostruire il clima dell’interglaciale passato, a livello sub-annuale.
Le varve possono formarsi in diversi ambienti, come i laghi proglaciali, quelli evaporitici e quelli temperati come quello di Pianico-Sellere. È questa sequenza di varve che ha destato l’interesse dei colleghi giapponesi e li ha spinti a raggiungere il sito del paleolago.

Come si è svolta in loco l’attività del team giapponese?

Tra gli studiosi giapponesi era presente Junko Kitagawa, curatrice del Fukui Prefectural Varve Museum, il primo museo interamente dedicato alle varve. L’interesse era volto ad eseguire un peeling di una parte della sequenza varvata, in modo da “strappare” i millimetri superficiali di un’area di uno degli affioramenti e portare in Giappone una superficie di circa 3 metri quadrati (un rettangolo di 2 m x 1,5 m) della sequenza.

Per far questo, hanno spedito tutto il materiale necessario e hanno portato in loco il loro specialista in peeling, il sig. Moriyama, un pittore ed artista freelance di 84 anni che ha inventato la tecnica dello strappo dei peeling utilizzata dal museo. La tecnica ha funzionato perfettamente e il materiale “strappato” nella forma di un tappeto gommoso, è stato poi portato in Giappone, dove verrà preparato ed esposto a partire dal prossimo anno.

Qual è stato invece il ruolo di Bicocca, e il suo in particolare, nell’attività di ricerca realizzata nell’area paleontologica del lago?

Mi sono interessata al paleolago di Pianico-Sellere quando stavo ancora studiando all’università e quando è arrivato il momento della tesi di Laurea, i sedimenti varvati sono stati la mia prima scelta che ho poi confermato anche come argomento del Dottorato di Ricerca che ho svolto in Germania. Ho studiato la sequenza varvata contando e misurando al microscopio e in sezione sottile circa metà delle varve che costituiscono la sezione, studiando anche i livelli detritici che provenivano dall’intorno del paleolago. Inoltre, ho misurato il rapporto tra gli isotopi stabili di ossigeno e carbonio nella calcite endogenica delle lamine chiare delle varve e ho studiato le variazioni geochimiche dei sedimenti varvati tramite scanner µ-XRF. In questo modo ho potuto apprezzare l’importanza di un approccio multidisciplinare per la ricostruzione delle variazioni climatiche del passato.

La mia partecipazione alle attività dei colleghi giapponesi è stata quindi dettata dalla mia conoscenza della sequenza interglaciale e dei sedimenti che la costituiscono, nonché dei luoghi e dei sentieri per accedere alla zona.

Ci tengo a precisare che ci siamo mossi con le dovute autorizzazioni della Soprintendenza per i Beni Archeologici (dott.ssa Longhi) e del Comune di Sovere (dott.ssa Cadei). Preziosissimo è stato l’aiuto della dott.ssa Badino dell’Università di Firenze che ha condiviso gli oneri dell’organizzazione di questa uscita, nonché della Protezione Civile di Sovere e del Museo di Scienze Naturali di Bergamo, nella persona del dott. Confortini.

Sebbene resti uno dei siti da me preferiti e dove torno sempre molto volentieri, lo studio del paleolago di Pianico-Sellere è ora un’attività marginale per me, dato che sono impegnata su un diverso fronte.

Quali altri progetti la vedono coinvolta con la sua attività di ricerca?

Al momento faccio parte del gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Maggi che studia la carota di ghiaccio prelevata nel 2021 dal Pian di Neve, poco sotto la vetta del Monte Adamello. Il progetto, denominato ClimADA, è finanziato da Fondazione Cariplo e coordinato dalla Fondazione Lombardia per l’Ambiente; tra gli obiettivi del progetto, quello di ricostruire le variazioni climatiche e l’impatto antropico in zone di montagna, sfruttando i 224 m di ghiaccio della carota.

La carota di ghiaccio è conservata e viene preparata nel laboratorio EuroCold, dove i campioni che utilizzo vengono tagliati e lasciati fondere, per essere poi filtrati; una seconda fase della preparazione avviene nel laboratorio di palinologia del C.N.R. di Milano.

All’interno degli studi sulla carota di ghiaccio, mi occupo della parte di micropaleontologia vegetale (e non solo). Memore dell’importanza dell’approccio multidisciplinare per le ricostruzioni paleoclimatiche, sto sfruttando tutto quanto di organico si è depositato sul ghiacciaio nel corso degli anni/secoli coperti dal carotaggio: polline, spore, spore di funghi coprofili, carboni, diatomee, alghe verdi, fitoliti e sporadici tefra.
La combinazione di tutte queste informazioni, mi permette di ricostruire variazioni di vegetazione, di condizioni ambientali dei laghetti intorno il ghiacciaio, della frequenza di incendi e del fenomeno della neve rossa, causata da un’alga che vive sulla superficie dei ghiacciai. Sto studiando degli intervalli particolari della carota, ad una risoluzione molto alta, per dettagliarli il più possibile. Le analisi sono in corso ma spero di raccontarvi a breve i primi risultati.