Come affrontare efficacemente il tema della violenza fisica e psicologica nello sport? Una leva importante è rappresentata dalla formazione, culturale e professionale, che può giocare un ruolo cruciale nella condivisione di pratiche e modelli positivi. Un mondo, quello sportivo, dove è importante prendere consapevolezza dei rischi da parte di tutti, per mettere in campo meccanismi preventivi specifici e adeguati a tutela degli atleti e degli operatori del settore.
Si è discusso di questi temi durante il convegno “Violenza, abusi e discriminazioni nello sport” che si è tenuto a Roma il 13 maggio presso la sala Capitolare del Senato della Repubblica, promosso dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Per approfondire il fenomeno, in via di progressiva emersione, ne abbiamo parlato con Mattia Martini, docente del dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l’Economia, e Direttore del Master in Management dello Sport e degli Eventi Sportivi dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Professore, abusi e violenze nello sport: quali sono le dimensioni del fenomeno?
Abusi fisici e psicologici sono purtroppo fenomeni presenti nel mondo dello sport, sia professionistico sia dilettantistico. Nel corso del convegno, l’avvocato Paolo Mormando, Procuratore Federale Aggiunto della F.I.G.C., ha citato i dati forniti dall’associazione ChangeTheGame, dai quali emerge che su 1500 atleti, il 40 per cento ha subito atti di violenza. La maggior parte delle vittime sono maschi, gli abusi più frequenti sono quelli di carattere psicologico e gli autori sono il più delle volte i compagni di squadra.
Particolarmente gravi sono i fenomeni di abuso e violenza che coinvolgono i minori. Il portale dedicato al settore giovanile registra nell’ultimo anno 250 segnalazioni di abusi e violenze da parte di minori che praticano attività sportiva. D’altra parte, questo dato probabilmente sottostima la diffusione del fenomeno, poiché ancora oggi c’è una certa resistenza da parte degli atleti ad esporre denuncia, sebbene questa avvenga in forma anonima. In altri casi, violenze ed abusi non sono percepiti appieno dalle vittime ma ritenuti pratiche che fanno parte dell’esperienza sportiva in generale.
I fenomeni di abuso e violenza coinvolgono allenatori, staff tecnico, compagni di squadra, tifosi e persino i genitori. Negli ultimi anni, in particolare, crescono tra i giovani i fenomeni discriminatori, così come la violenza “digitale”. Sono particolarmente frequenti poi gli atti violenti che coinvolgono gli arbitri, anche nei campionati under 16. Così come i casi di violenza da parte dei genitori nei confronti di allenatori ed arbitri.
Perché il tema degli abusi e delle violenze è particolarmente rilevante nello sport?
Abusi e violenze sono fenomeni sempre gravi, al di là di dove questi si manifestino o di chi siano le vittime. D’altra parte, come sottolineato dall’on. Marco Perissa e dall’on. Manuel Vescovi, assumono un peso particolarmente rilevante quando coinvolgono i più giovani e quando avvengono nell’ambito dello sport. Lo sport è infatti concepito dalle istituzioni e dalla comunità come il luogo in cui i ragazzi possono imparare a mettersi in gioco, a relazionarsi in modo positivo con gli altri e, soprattutto, il rispetto delle regole. Stride quindi in modo particolare il verificarsi, anche frequente, di episodi di violenza fisica o psicologica proprio in questo ambito. La responsabilità coinvolge tutti i soggetti che ruotano attorno alla pratica sportiva dei giovani, che dovrebbero essere consapevoli del ruolo educativo che lo sport svolge e potrebbe svolgere nella società. Il fatto che un certo tipo di atteggiamenti e comportamenti provenga proprio da coloro che dovrebbero essere garanti del rispetto delle regole e dell’educazione dei giovani che praticano attività sportiva, quindi dirigenti, allenatori e genitori, crea sconcerto e richiama la necessità di interventi correttivi.
Quali soluzioni sono quindi auspicabili?
Sanzionare non è sufficiente, occorre investire sulla prevenzione. A questo proposito, alcune buone pratiche sono già in essere e riguardano, ad esempio, l'adozione da parte delle società sportive di regole di condotta ed adempimenti, ma anche modelli organizzativi in grado di prevenire abusi e violenze nel proprio contesto.
Il grande impegno della Procura Generale dello Sport sul tema della prevenzione di abusi e violenze, ha sottolineato l’avvocato Antonio Marino, Procuratore Nazionale dello Sport, permette oggi di apprezzare un miglioramento significativo nell’emersione degli abusi sessuali nell’ambito sportivo. Oggi, dopo il grande impegno profuso, non solo sono aumentate le denunce, segno evidente di un cambiamento culturale, ma anche la rapidità della risposta investigativa, l’efficacia delle sanzioni così come le molteplici attività di prevenzione e le politiche di salvaguardia.
Importanti sono tutte le iniziative volte ad informare e sensibilizzare le società sportive ed i loro stakeholder. Tania Musetto, Segretario Nazionale dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio Onlus (AIAC Onlus), ha mostrato come negli ultimi anni l’associazione stia realizzando progetti a sfondo sociale mirati a creare ambienti sicuri, privi di abusi e discriminazioni di ogni genere. A questo proposito, l’associazione si impegna a formare gli addetti ai lavori (dirigenti, allenatori, staff tecnico) e a promuovere l’adozione di specifiche policy aziendali e codici di condotta volti a prevenire abusi e violenze, che consentano una scelta consapevole della società sportiva da parte di genitori e giovani atleti.
Quale può essere il ruolo dell'università e della formazione?
È emerso in maniera condivisa da tutti i relatori che, per poter affrontare il problema in modo radicale, è necessario oggi investire sulla formazione professionale e culturale dei manager sportivi, degli allenatori, dello staff tecnico e degli atleti. A questo proposito, l’Università può e deve giocare un ruolo centrale.
I percorsi di studio che intendono formare i futuri manager dello sport, come ad esempio il Master in Management dello Sport e degli Eventi Sportivi dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dovranno includere programmi che siano volti a far comprendere ai partecipanti il ruolo sociale ed educativo che lo sport può svolgere nella nostra società. Solo così sarà possibile preparare i futuri manager e i dirigenti dello sport ad entrare nel mercato del lavoro “rompendo gli schemi” e facendosi promotori dei reali valori sportivi.