L’ambasciata canadese in Italia ha da poco insignito Sveva Magaraggia, sociologa dell’Università di Milano-Bicocca, del premio Innovation Award 2024 nell’area della prevenzione della violenza di genere. La professoressa ci spiega come è arrivato questo premio e quali sono le finalità della sua ricerca, che svolgerà in collaborazione con una collega canadese.
Come è nato il progetto “CAPTIVATE: Comparing GBV Institutional Campaigns in Canada and Italy Graduate”?
Nasce da una collaborazione che va avanti da diversi anni con una collega canadese, Bailey Gerrits, che è titolare della “Mila Mulroney Research Chair in Women, Policy and Governance Leadership” alla St. Francis Xavier University.
In passato lei era anche venuta qui in Bicocca a tenere dei seminari, e abbiamo sempre riscontrato interessi scientifici convergenti. Fin dalla tesi di dottorato la dott.ssa Gerrits ha svolto un lavoro di analisi della comunicazione istituzionale per la prevenzione della violenza di genere, tema che è sempre stato al centro anche dei miei interessi di ricerca. Non avevamo mai provato però a portare avanti un lavoro comparativo e quando ho visto il bando pubblicato dall’ambasciata canadese in Italia ho pensato che fosse venuto il momento propizio per dare più respiro a questa collaborazione tra noi, nell’ambito di un progetto più strutturato; alla fine di maggio dell’anno scorso l’ambasciata mi ha comunicato che avevo vinto questo premio.
Come si articolerà la vostra ricerca? Quali sono le tappe?
Prima di cominciare a lavorare assieme qui in Canada abbiamo raccolto una serie di materiali empirci da analizzare. Adesso qui all’Università di Alberta stiamo lavorando gomito a gomito per alcune settimane per portare avanti il lavoro comparativo. Ci tengo anche a dire che nel raccogliere i dati di una serie di campagne di prevenzione degli anni passati - che costituiscono la base empirica su cui stiamo lavorando - ho potuto contare sull’aiuto di alcune colleghe che insieme a me partecipano ad un PRIN, nonché di studenti che stanno facendo la loro tesi: è quindi un progetto che sto costruendo in modo partecipativo da diverso tempo.
All’interno del processo abbiamo previsto dei seminari che abbiamo voluto aperti a tutti, per favorire una partecipazione attiva soprattutto degli studenti e delle studentesse. È un aspetto a cui tengo molto perché permette a chi ancora non conosce il mondo della ricerca di avere accesso a strumenti e a una metodologia di analisi di alto livello: è importante inoltre come momento di messa in comune di sguardi diversi su queste campagne. Qui in Canada abbiamo coinvolto anche dei centri che si occupano di prevenzione della violenza di genere e della violenza sessuale; in Italia invece ho rivolto l’invito soprattutto a studenti. Sarebbe stato bello aprire le porte a tutta la società civile ma c’è l’ostacolo della lingua, perché i seminari saranno in inglese.
Qual è secondo lei il valore aggiunto di questo progetto?
È la base per portare avanti in futuro un progetto di prevenzione efficace, ed è una tematica talmente articolata e complessa che più punti di vista diversi riusciremo a integrare e a mettere in tensione e più possibilità avremo di costruire campagne efficaci. Se vogliamo realizzare una prevenzione incisiva dobbiamo pensare a una ricerca che si muova davvero su più livelli. Io e la collega canadese ci occupiamo di un aspetto specifico della violenza di genere, che è quella della comunicazione: in questo senso ci aspettiamo un impulso anche dal fatto di poter avere uno sguardo comparativo tra Italia e Canada.
Già nei primi giorni di lavoro sono emersi elementi significativi di continuità e di differenza. Da parte canadese come primissima impressione ho rilevato uno sguardo più intersezionale: c’è una maggiore attenzione a provenienze etniche diverse, a età diverse, a rappresentazioni e modelli plurali. La società canadese è nata dalle migrazioni e questo elemento emerge in modo evidente fin dai primi passi dell’analisi.
Che cosa sono le GBA plus?
Il governo e la società civile canadese sono all’avanguardia per quanto riguarda la violenza di genere. In modo particolare possiamo dire che la svolta è avvenuta in seguito ad una strage di donne e di militanti femministe, conosciuta come “il massacro del Politecnico di Montréal”, avvenuta il 6 dicembre 1989. Da qui nasce anche la campagna del “Fiocco Bianco”, conosciuta in tutto il mondo. Istituzioni e società civile si muovono su questa tematica da molti anni e lo fanno in modo capillare: il governo ha messo a punto le GBA plus come una sorta di linee guida, molto articolate, per supportare lo sviluppo di politiche inclusive.
Per l’Italia possiamo dire che l’anno di svolta su queste tematiche sia stato il 2013. In quell’anno non solo è stata ratificata la Convenzione di Istanbul, ma si sono anche determinate una serie di condizioni che hanno segnato una maturazione complessiva culturale e civile per quanto riguarda il contrasto alla violenza di genere. Abbiamo scelto un range temporale di 10 anni perché portando avanti un’analisi di tipo qualitativo, non potevamo abbracciare un arco temporale troppo ampio e il periodo dal 2013 al 2023 ci è sembrato sufficiente a delineare un quadro della situazione.
L’ambasciata canadese in Italia che ruolo ha svolto?
Devo dire che sono rimasta molto favorevolmente impressionata dalla loro capacità di iniziativa. L’ambasciata si è dimostrata un partner istituzionale ottimo con cui lavorare e non solo ha insignito il progetto di questo premio, che ci permette di portare avanti un lavoro di ricerca su un tema estremamente attuale, ma si è messa anche in contatto con la governance del nostro ateneo per valorizzare il progetto e assicurarsi che gli fosse data piena attuazione. È un ulteriore elemento che testimonia la grande sensibilità che si è sviluppata nella società canadese su questo tema e la volontà di sostenerlo a tutti i livelli.