La ricerca medica compie un ulteriore passo in avanti nella comprensione dello sviluppo del cervello umano con il nuovo studio condotto da un team internazionale di ricercatori, guidato dalla dott.ssa Veronica Krenn, beneficiaria della borsa di studio Human Technopole Early Career presso il dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze del nostro ateneo, in collaborazione con il team guidato dal professore Jürgen Knoblich dell’Istituto di Biotecnologia Molecolare dell’Accademia Austriaca di Scienze (IMBA) di Vienna e il team guidato dal Professor Giuseppe Testa di Human Technopole di Milano.
Dott.ssa Krenn com’è nata l’intuizione per lo sviluppo di questo nuovo tipo di organoidi cerebrali?
L'intuizione è nata lavorando insieme alla Dr.ssa Camilla Bosone, durante il suo dottorato al laboratorio del Prof. Jürgen Knoblich a Vienna. Cercavamo di rispondere a domande fondamentali su come ad esempio la corteccia umana possa raggiungere le sue dimensioni e cercare di conoscere l’origine delle malattie del cervello.
Le tecnologie organoidi sono modelli tridimensionali derivati da cellule staminali ad oggi ampiamente utilizzati in tutto il mondo per studiare lo sviluppo del cervello umano. Stavamo cercando una strategia per migliorare la formazione degli organoidi cerebrali utilizzando segnali tissutali chiamati morfogeni. In particolare, ci siamo concentrati sull'Fgf8, una proteina appartenente alla famiglia dei fattori di crescita dei fibroblasti, che svolge un ruolochiave nella regolazione di crescita, sviluppo e riparazione di vari tessuti nel corpo umano.
E’ cruciale nello sviluppo del sistema nervoso centrale, inclusa la formazione del cervello e della corteccia cerebrale.
I primi tentativi di applicazione dei morfogeni agli organoidi - sebbene incoraggianti - mostrarono un’azione molto limitata nel tempo e nello spazio di questi segnali.
Questi risultati ci hanno spinto a cercare un metodo alternativo, capace di far agire il morfogeno più a lungo e su distanze maggiori. Con questa idea in testa, insieme ad un team di collaboratori dell’Università di Parigi, siamo riusciti a sviluppare questo nuovo tipo di organoide allungato.
Quali differenze ha riscontrato tra gli organoidi tradizionali e il nuovo modello?
La differenza principale sta nel design e nella composizione. Fino ad oggi, gli organoidi corticali utilizzati tradizionalmente sono stati quelli sferici, come palloni da calcio in miniatura e relativamente omogenei, una struttura molto diversa da quella della corteccia umana oblunga. I nostri nuovi modelli sono allungati (fino a 10 mm) e asimmetrici. La differenza nel design permette anche una variazione nel contenuto: nei nuovi organoidi, le cellule staminali e i neuroni derivati da esse sono distribuiti in modo organizzato, mentre nei modelli tradizionali la disposizione è casuale. Questo miglioramento è cruciale per imitare meglio la struttura della corteccia cerebrale.
In che modo questi organoidi possono contribuire alla comprensione e al trattamento di disturbi neurologici?
Questi nuovi modelli riproducono in parte l'organizzazione spaziale dei neuroni nella corteccia, un elemento essenziale per il corretto funzionamento cerebrale. Studi recenti hanno dimostrato che in alcuni disturbi neurologici, come i disturbi dello spettro autistico, questa organizzazione è alterata. Con questo nuovo modello, possiamo esplorare il legame tra l'organizzazione della corteccia e l'insorgenza di malattie neurologiche, analizzando, ad esempio, come i fattori di rischio (genetici e ambientali) influenzino l'architettura corticale. Questo tipo di ricerca potrebbe aiutare a identificare nuovi bersagli per future terapie.
Quali sono i prossimi sviluppi o miglioramenti che vorrebbe apportare a questo modello per aumentarne l'efficacia nello studio delle malattie cerebrali?
Il nostro modello rappresenta un grande passo avanti nella ricerca sugli organoidi e nella comprensione del cervello. In futuro, vorremmo analizzarlo più a fondo utilizzando nuove tecnologie e apportare miglioramenti tecnici per replicare ancora meglio l'organizzazione della corteccia. In parallelo, ci piacerebbe applicare questo modello per comprendere meglio l’insorgenza dell'autismo, indagando come i geni ad esso associati influenzino la struttura spaziale della corteccia.