Amanti della montagna, amiche da una vita, entrambe 25enni e provenienti da Lecco. Sara Nava e Valentina Rusconi hanno da poco conseguito la laurea in Medicina e chirurgia all’Università di Milano-Bicocca con una tesi sperimentale che le ha portate per due mesi e mezzo in Perù - nella città di Juliaca a 3800 metri di quota - per il progetto “Highcare-LAPS (HIGH altitude Cardiovascular REsearch Latin America Population Study), guidato dal professor Gianfranco Parati.
Quando le incontriamo per saperne di più sull’esperienza e sul progetto, Sara e Valentina hanno ancora negli occhi i colori di “un paese dalla bellezza indescrivibile, da Machu Picchu al lago Titicaca, dal deserto all’oceano”.
In cosa consiste il progetto “Highcare LAPS”?
Valentina: Il progetto indaga gli effetti dell’ipossia ipobarica, ossia della carenza di ossigeno in alta quota, sui fattori di rischio cardiovascolare della popolazione peruviana. Si tratta di uno studio multicentrico che ha coinvolto varie città. Per ora è stato studiato un campione di popolazione di Lima, quindi sul livello del mare, e di Cerro de Pasco, una città a 4400 metri di altitudine. La parte che ci ha coinvolto direttamente ha studiato una popolazione ad alta quota, per la precisione quella di Juliaca, a 3800 metri sul livello del mare.
Qual è stato il vostro contributo?
Valentina: Io mi sono occupata dell’aspetto pressorio. Abbiamo monitorato i valori della pressione tramite diversi metodi: in studio, a casa e tramite monitoraggio delle 24 ore. È emerso che i soggetti in alta quota avevano valori pressori migliori rispetto a quelli a bassa quota. E anche le caratteristiche delle arterie erano migliori: i soggetti in alta quota presentavano una minore rigidità arteriosa.
Sara: Io, invece, mi sono occupata dei fattori di rischio cardio-metabolici. Per comprendere il quadro, occorre tenere presente che il Perù è un paese in via di sviluppo, in cui si ha poco accesso alle cure e alla prevenzione e la presenza di fattori di rischio è molto alta: obesità, colesterolo, poca attività fisica. Di buono c’è che fumano poco.
Anche nel mio caso, però, è risultato che gli “highlanders”, gli abitanti in alta quota, hanno un profilo cardiovascolare migliore che a bassa quota. Probabilmente questo è dovuto a stili di vita più corretti e al minor inquinamento. Un ruolo centrale è rivestito dall’ipossia ipobarica che sembra attivare dei meccanismi cardioprotettivi. Questo è un aspetto che deve essere approfondito, ma senz’altro si tratta di risultati interessanti e significativi che aprono le porte a studi innovativi.
Cosa vi ha spinto a partire per il progetto di tesi?
S: Mi è sempre interessato lavorare nei paesi in via di sviluppo. Ho fatto esperienze anche in Kenya e in Iran. E poi mi è sempre piaciuta la montagna, così come la cardiologia. L’incontro con il professor Parati, un professionista appassionato e una persona motivante, è stato determinante per la mia scelta.
V: Inizialmente non avevo considerato l’ipotesi di svolgere la tesi all’estero, poi sono rimasta affascinata dal progetto di Sara e, rassicurata dalla sua conoscenza dello spagnolo, ho deciso di buttarmi. Anche nel mio caso, poi, l’incontro con il professor Parati è stato illuminante. Essendo da sempre appassionata di montagna l’idea di poter fare una tesi sulla medicina ad alta quota era proprio nelle mie corde e si è rivelata la scelta giusta.
Com’è stata la vostra esperienza in un Paese così lontano?
V. Juliaca è tra le città meno turistiche del Perù. Eravamo praticamente le uniche straniere. Siamo state accolte in maniera particolare: o con estrema diffidenza o con grande felicità, per esempio tanti in strada ci salutavano pur non conoscendoci.
S. Non è stato semplice abituarsi al clima, era davvero molto freddo. A Juliaca le persone iniziano a lavorare molto presto: svolgono quasi tutti lavori manuali o sono commercianti di strada o lavorano nei campi, per cui anche la nostra attività iniziava prestissimo. È stata in ogni caso un’esperienza bellissima, ci ha fatto rendere conto di quanto siamo fortunati da noi: abbiamo conosciuto pazienti che a 60 anni non avevano mai fatto un esame del sangue.
Avete avuto modo di scoprire il resto del Perù?
S. Fortunatamente sì. Il nostro lavoro prevedeva dei ritmi molto serrati in alcuni periodi con attività 7 giorni su 7, per avere poi alcuni periodi di stacco lunghi, anche di una settimana, che ci hanno consentito di visitare praticamente tutto il Perù. Abbiamo trovato un popolo estremamente accogliente e generoso. E un paese dalla bellezza straordinaria. Hanno tutto dal deserto, all’oceano, dalla foresta amazzonica alle vette andine, da Machu Picchu – una delle meraviglie del mondo – al lago Titicaca.