«La Sport Therapy è stata una vera rivoluzione culturale. Di solito, noi tutti associamo la medicina riabilitativa a chi è malato e lo sport a chi è sano. Questo progetto ha cambiato gli schemi, con la sua nuova visione, prima di tutto di noi operatori medici, facendoci superare la paura di far svolgere attività fisica ai malati.»
Così Adriana Balduzzi, della Clinica Pediatrica di Milano-Bicocca e responsabile pediatra del progetto presso il Centro Maria Letizia Verga, sintetizza i risultati della Sport Therapy, ormai diventata testimone concreta e scientifica del fatto che l’attività fisica personalizzata, per chi è malato di leucemia infantile, non solo è possibile come parte integrante della cura, ma anzi ne migliori il benessere, riducendo le complicanze dell’allettamento e contrastando la tossicità delle cure.
Professoressa, com’è nato questo progetto?
Il progetto Sport Therapy nasce nel 2017, figlio, come spesso accade, di una circostanza. Un ragazzo che avevo curato circa trent’anni fa (il dott. Tommaso Moriggi, ndr) si è laureato in Scienze Motorie e ha scelto di portare avanti l’attività fisica non solo come medicina riabilitativa ma come sport. Ha condiviso la sua idea con il professor Biondi che ha intravisto l’enorme potenzialità di questo progetto per i pazienti. Grazie alla dott.ssa Lanfranconi, medico dello sport, ed alla sua squadra di scienziati motori, coordinati proprio da Tommaso, il progetto è partito!
Come si è sviluppato in questi anni?
All’inizio il programma coinvolgeva solo i ragazzi “in terapia di mantenimento”, cioè prossimi alla sospensione delle cure (47 ragazzi). Strada facendo, ci siamo resi conto che i pazienti che più avrebbero beneficiato di una terapia fisica erano in realtà proprio i più fragili, cioè i ragazzi che erano costretti a lunghi periodi di ricovero e allettamento. Oggi, a qualunque paziente acceda alla nostra struttura con una diagnosi di malattia oncologica, anche di trapianto midollare, viene proposto di entrare nel progetto di ricerca Sport Therapy. Il numero dei ragazzi che hanno usufruito del progetto fino ad oggi è circa 290, di cui un terzo trapiantati, per più di 10.000 allenamenti fatti. Il gradimento delle attività è molto grande sia da parte dei ragazzi che delle famiglie e la richiesta di partecipazione molto alta.
Come si svolge in pratica l’allenamento fisico?
L’allenamento consiste in tre sessioni alla settimana. Le attività possono svolgersi in palestra oppure nella camera singola di bambini e ragazzi, a seconda della necessità. In palestra si lavora in piccoli gruppi e gli allenamenti durano circa 50-60 minuti, per i ragazzi dai 7 ai 18 anni, o di 30 minuti, per i più piccoli, dall’anno e mezzo ai 6 anni. Gli allenamenti si svolgono anche all’aperto e anche in inverno. In reparto, invece, i ragazzi si allenano per 20-30 minuti individualmente, nelle loro stanze. In ogni caso l’allenamento è deciso in maniera personalizzata, a seconda della situazione clinica dei pazienti, che viene esaminata all’inizio ed al termine di ogni ciclo e monitorata durante tutta la attività.
Le attività sono di tipo aerobico, di controresistenza alla forza, di flessibilità e di equilibrio. I gesti tecnici (golf, calcio, arrampicata, bike no pedals) rientrano in questi allenamenti. Stabiliamo per ogni bambino un carico lavorativo settimanale che non deve esser superato. Da quest’anno abbiamo anche introdotto attività anche per i bambini da un anno mezzo fino ai 3, per aiutare a rinforzarli quando iniziano a camminare.
Quale formazione hanno gli operatori che allenano i ragazzi?
La dott.ssa Lanfranconi, vero motore del progetto, coordina il gruppo degli operatori, che include cinque scienziati motori, che, oltre ad “allenare”, fanno anche ricerca, come i colleghi anglosassoni, definiti “exercise physiologist”. Sono laureati che hanno terminato la laurea magistrale e svolto poi una formazione dedicata alla sport therapy, oltre ai due anni di tirocinio curriculare effettuato all’interno del centro. Arrivano al Comitato tesisti di medicina e scienze motorie, non solo di Milano-Bicocca, ma anche di Milano Statale e Cattolica. Inoltre fanno parte del gruppo quattro osteopati.
In sintesi, secondo lei, cosa si è imparato dall'esperienza fatta in questi anni?
Tutti noi medici abbiamo imparato che anche i pazienti con complicanze maggiori (ad es. con polmonite che li pone in ossigenoterapia) possano essere allenati. Naturalmente, ogni allenamento viene personalizzato dal medico su misura per ogni piccolo atleta.
Quali sono ora le prospettive future?
Dal punto di vista tecnico, abbiamo in mente di aggiungere un gesto tecnico molto amato: la danza! È solo di settimana scorsa la visita di Raimondo Todaro, amato ballerino di Ballando con le stelle, che ha fatto danzare un gruppetto di atleti … e fatto sognare qualche aspirante ballerina!
Inoltre, stiamo anche sviluppando una collaborazione con il Politecnico per creare moduli dispositivi che permettano ai bambini in terapia di fare allenamento in sicurezza in reparto: una specie di “palestra mobile”.
Un obiettivo è anche quello di far diventare l’attività fisica una terapia riconosciuta ed erogabile dal sistema sanitario nazionale per tutti i pazienti fragili, in particolare per i bambini, con lo scopo di favorire la diffusione del progetto Sport Therapy a tutti i centri di emato-oncologia in Italia. E in Europa? Il progetto, come lo sport, non conosce confini! Siamo coinvolti, come protagonisti per la parte clinica, nel progetto FORTEe, finanziato dall’Unione Europea, la cui mission è riassunta bene così: ”GET STRONG TO FIGHT CHILDHOOD CANCER”!
Credits: @Comitato M.Letizia Verga