Il Milan ha mantenuto la vetta grazie a un gol all’ultimo respiro, respingendo l’assalto dell’Inter, giunta all’ottava vittoria consecutiva. La Juventus, in un sol giorno, ha visto le rivali milanesi allontanarsi di sei punti. Eppure la quattordicesima giornata del campionato di Serie A di calcio passerà alla storia per un altro motivo. Nelle 138 partite disputate finora (sono da recuperare Juventus-Napoli e Udinese-Atalanta), i punti realizzati dalle squadre in trasferta hanno superato quelli totalizzati tra le mura amiche: 192 contro 183, il 51,2 per cento su un complessivo di 375 punti assegnati. Il “fattore campo” non sembra incidere più, come ribadito anche da una news della Lega Serie A. Una rivoluzione confermata anche dal confronto con gli anni precedenti. Da quando il campionato di Serie A è tornato ad essere composto da 20 squadre (2004-2005), i punti “casalinghi” sono sempre stati superiori a quelli conquistati fuori casa, mai sotto il 53 per cento dei punti totali, con picchi del 63-64 per cento (nel 2008-2009 e nel 2009-2010).
Quest’anno invece, quando siamo giunti a un terzo abbondante di stagione, si registra un’inversione di tendenza. Testimoniata anche dall’ultima giornata disputata: cinque vittorie in trasferta (Fiorentina, Sassuolo, Benevento Genoa e Inter) a fronte delle sole tre casalinghe (Crotone, Milan e Roma). La differenza principale rispetto agli scorsi anni è sicuramente l’assenza del pubblico sugli spalti, imposta dalle misure anti-Covid-19. Può la mancanza di quello che viene chiamato il “dodicesimo uomo in campo” avere spostato gli equilibri? Ne parliamo con Patrizia Steca, professoressa di Psicologia generale dell’Ateneo.
Professoressa, quanto potrebbe avere pesato sul calo di punti casalinghi l’assenza di pubblico, passato dal migliaio di tifosi autorizzato a inizio stagione alle porte chiuse reintrodotte dal dpcm del 24 ottobre scorso?
Il pubblico conta tantissimo nel contesto di uno stadio, rappresenta una collettività amica, che ti sostiene, che ti fa sentire più capace di affrontare la situazione competitiva. La sua presenza o assenza può incidere sui risultati. Esistono tanti esempi di partite iniziate male che vengono recuperate anche grazie al supporto del pubblico.
Come il “dodicesimo uomo” può influire sulla prestazione sportiva?
Attraverso processi di supporto motivazionale e di resistenza all’evento. Il pubblico ti carica, è lì per te, ti fa sentire in quel momento una persona significativa. È come avere centinaia e centinaia di persone che ti dicono “crediamo in te”, “per noi sei importante, un esempio”. Nel calcio, in particolare, c’è inoltre questo fenomeno quasi paradossale di identificazione non solo con i singoli giocatori ma anche con il contesto societario. Senti i tifosi dire al plurale: "abbiamo acquistato quel campione".
E per le squadre in trasferta cosa può essere cambiato?
L’effetto è opposto. Non hanno lo stesso supporto di chi gioca in casa. Anzi, si sentono rivolgere, soprattutto nel calcio, frasi “poco eleganti” che possono minare l'equilibrio emotivo, essenziale per affrontare la competizione. C’è poi un altro elemento in ballo: il tema della conquista, che si rifà a meccanismi molto primitivi di lotta, di presa del territorio “nemico”. Tentare la conquista di un campo sostanzialmente “sguarnito”, qual è lo stadio privo di tutta la tifoseria, non è più solo un obiettivo sfidante ma diventa anche un traguardo più alla portata. Sarebbe interessante scoprire se il fenomeno si sta ripetendo anche in altri sport, come il volley o il basket, dei contesti solitamente più fair e tranquilli rispetto al calcio, ma nei quali il pubblico è più vicino ai giocatori.
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