Ricomincia l’anno scolastico e a Venezia torna il Festival del cinema. Due eventi in apparenza legati soltanto dalla concomitanza cronologica ma che permettono una riflessione su un tema sempre più d’attualità: il ruolo che la settima arte può giocare come strumento pedagogico nelle scuole. Ne parliamo con Emanuela Mancino, professoressa di Filosofia dell'educazione e direttrice del laboratorio di “Filosofia e pedagogia del cinema”.
Professoressa, cosa può insegnare un film?
Il cinema e le arti innanzitutto ci svelano la meraviglia, lo stupore che, come dicevano i Greci antichi, è il punto di partenza della conoscenza. Poi ci permettono di accedere al nostro stesso sguardo, come diceva il filosofo Jean-Luc Nancy, di osservare come guardiamo la realtà intorno a noi, come riceviamo e rielaboriamo informazioni per restituire una composizione di senso. Lo studente è portato a parlare delle sue emozioni e percezioni sotto lo stimolo di quello che vede sullo schermo più che in risposta a una domanda diretta o all’interno di un processo di apprendimento tendenzialmente passivo, in cui ascolta la lezione. Bambino o adulto che sia. Davanti a un film, spesso ragazzi ritenuti poco capaci in altre materie si ritrovano protagonisti del contesto educativo. E del proprio modo di reinterpretare la realtà. Avere questa occasione è tanto più importante in un mondo nel quale abbondano le sollecitazioni visive, tra Internet e social network.
Ci può fare un esempio concreto?
Da quattro anni seguo per Milano-Bicocca “Film Corner”, un progetto finanziato dalla Commissione Europea per condividere nelle scuole di tutta Europa, tramite una piattaforma virtuale, esperienze didattiche legate alla cinematografia. Solo in Italia gli studenti coinvolti sono stati, nella prima edizione del progetto, più di 300. In una delle sperimentazioni, abbiamo creato una app che permette ai ragazzi di raccontare una storia sentendo una banda sonora di un film o suoni di azioni. Studenti che nei temi non raggiungevano la sufficienza riscoprivano, grazie a questa esperienza, quelle competenze “tacite”, cioè desunte dall’esperienza, utili a guardare e raccontare il mondo che li circonda, a esprimere il proprio punto di vista, con proprietà di linguaggio inaspettata. Scoprire che si sa raccontare, cioè comporre e dare senso a “spezzoni” della propria esperienza è un passaggio cognitivo ed emotivo fondamentale. Infine, il cinema può anche diventare strumento di inclusione, perché stimola il dialogo a prescindere dalle difficoltà e diversità linguistiche.
Il cinema sta prendendo piede nelle scuole?
Se in passato si trattava di iniziative private di insegnanti con la passione della settima arte, oggi esistono progetti strutturati e promossi dalle istituzioni. A Milano-Bicocca abbiamo realizzato il primo laboratorio di “Filosofia e pedagogia del cinema”, nato sei anni fa in collaborazione con la Cineteca di Milano. Si rivolge ai nostri studenti di Scienze dell’educazione e agli insegnanti delle scuole o a cittadini interessati. Abbiamo una cinquantina di iscritti l’anno. I partecipanti imparano a leggere il testo filmico, progettare, costruire e gestire percorsi di formazione – nelle scuole e nei più differenti contesti formativi – e soprattutto a confrontarsi con le più varie ed emergenti forma narrative dell'immagine. Coinvolgiamo e ospitiamo anche registi e filmmaker, come Silvio Soldini, Francesco Clerici, Giulio Pedretti, Fabio Martina, Cristina Maurelli.
Cosa consiglierebbe a un insegnante di fare vedere in classe?
"La finestra sul cortile” di Hitchcock, “Effetto notte” di Truffaut, un film di Chaplin e uno di Almodovar (a seconda dell’età degli interlocutori), e “Hugo Cabret” di Scorsese: mostrano non solo la fascinazione, ma anche i meccanismi del cinema. Per i più piccoli penso anche a “Wall-e” e “Vado a scuola” di Plisson, documentario che mostra i percorsi, lunghi e insidiosi, che quattro bambini devono affrontare per andare a scuola tra Kenya, Marocco, Patagonia e India. Oggi, pensando al desiderio di ritorno alla normalità, il rientro sui banchi non è più un gesto così scontato.