È tra i quindici giovani italiani della ricerca sull’HIV, il virus dell’immunodeficenza umana responsabile dell’Aids, premiati a uno dei congressi più importanti al mondo, la Croi, la Conference on retroviruses and opportunistic infections, la Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche. Anche se “ho, ahimè, recentemente sfondato quota anta compiendo 40 anni”, dice di sé Giuseppe Lapadula, da dieci anni dirigente medico nell'unità operativa di Malattie Infettive dell’ospedale San Gerardo di Monza e da anni docente a contratto per l'Università di Milano-Bicocca. Dopo avere insegnato Medicina Interna per il corso di laurea di Scienze infermieristiche, oggi è docente di Malattie Infettive per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Mentore per la sua ricerca dal titolo “No change in neurocognitive function after switching from efavirenz to rilpivirine” è stato Andrea Gori, professore straordinario di Malattie infettive per il corso di Medicina e Chirurgia all’Università di Milano-Bicocca. A valutare i ricercatori italiani è stata una giuria internazionale. I migliori contributi, selezionati per qualità, originalità e rilevanza scientifica, sono stati presentati al Westin Copley Palace di Boston e sono stati insigniti dei Croi Awards. Il lavoro di Lapadula si è aggiudicato il riconoscimento per la ricerca clinica.
Professor Giuseppe Lapadula, cosa rappresenta per lei questo premio?
Si tratta di un importante riconoscimento del lavoro e degli sforzi profusi in questi anni, nonché della testardaggine che mi ha permesso di non fermarmi davanti agli inevitabili ostacoli ed ai momenti di scoramento. Inoltre è uno sprone a proseguire su questa doppia strada: impegnarsi sia nella assistenza ai pazienti, sia nel campo della ricerca clinica, per espandere e migliorare le conoscenze nei campi di cui mi occupo.
Di cosa tratta la sua ricerca?
Si tratta di uno studio clinico multicentrico randomizzato e controllato, la forma forse "più elevata" di ricerca clinica, ma anche la più complicata da condurre. L'obiettivo dello studio era valutare le conseguenze di una modifica della terapia antiretrovirale (la terapia per la cura dell'infezione da HIV) sulle capacità cognitive, sui sintomi a carico del sistema nervoso centrale e sulla qualità della vita dei pazienti.
Quali possono essere le applicazioni?
Da un canto, aver dimostrato (a differenza di quanto sostenuto da alcuni ricercatori) che un certo tipo di terapia non intacca le capacità cognitive dei pazienti, permetterà di evitare modifiche del trattamento antiretrovirale, che talvolta possono risultare inutili (e anche costose). D'altro canto, aver dimostrato che il cambio può migliorare la percezione della propria "acuità mentale" e ridurre alcuni eventi avversi a livello del sistema nervoso centrale, dovrebbe spingere ad interrogare maggiormente i pazienti sul loro "vissuto" e selezionare quelli che, invece, di questo cambio possono beneficiare da un punto di vista soggettivo.
In quale direzione proseguirà la sua ricerca?
Conto di approfondire l'aspetto della neurotossicità dei farmaci antiretrovirali e di individuarne i correlati ed i fattori predisponenti. In linea più generale, essere riuscito nell'impresa di ideare, scrivere, condurre e portare a compimento uno studio randomizzato multicentrico, coinvolgendo alcuni tra i centri di Malattie Infettive più importanti d'Italia, mi ha dimostrato che la strada giusta da seguire per produrre evidenza scientifica di qualità è quella di unire le forze e coltivare le collaborazioni. Per questo, mi piacerebbe ripetere l'impresa e impegnarmi ancora nell'organizzazione di un trial multicentrico nazionale, magari con obiettivi ancora più ambiziosi e rilevanti per la comunità clinica e scientifica.