Ha un nome di donna, BridgET, ma in realtà è l’acronimo di Bridging the gap between the land and the sea in a virtual Environment for innovative Teaching and community involvement in the science of climate change-induced marine and coastal geohazard. È il progetto di ricerca che focalizza la sua attenzione sulle aree in cui terra e mare si incontrano. Condotto da un team europeo di cui fa parte Milano-Bicocca, è stato finanziato nell’ambito delle call Erasmus+ KA220-Higher Education che mirano ad implementare pratiche innovative nel settore dell’istruzione universitaria e accrescere la capacità di operare in campo didattico a livello transnazionale. I risultati introdurranno nuove modalità di insegnamento, con particolare attenzione alla trasformazione digitale, e favoriranno la partecipazione attiva dei cittadini alle grandi tematiche d’interesse ambientale.
Incontriamo la coordinatrice del progetto Alessandra Savini, docente di Milano-Bicocca in Geografia fisica e Geomorfologia.
Professoressa, inquadriamo il contesto in cui si inserisce BridgET.
Il recente progresso dei sistemi robotici subacquei e delle tecnologie oceaniche ha aperto nuove prospettive nel campo delle applicazioni in geologia e geomorfologia marina; le attività economiche marino-costiere sono sempre più riconosciute come motori della blue economy in termini di PIL e posti di lavoro.
BridgETt è stato progettato per rispondere alla crescente domanda di professionisti altamente qualificati nel settore delle geoscienze marine e del rischio geologico. Tra le azioni principali, la realizzazione di 3 Summer School in aree tettonicamente o climaticamente sensibili: l’anno scorso abbiamo scelto l’isola di Santorini; ad ottobre ci concentreremo invece sulle dinamiche e i fenomeni vulcanici che interessano le coste e i versanti dell’Etna. Nel 2024 sarà la volta dell’isola maldiviana di Magoodhoo, sede del Marhe Center, particolarmente stimolante per l’intensa biodiversità e gli studi relativi all’innalzamento del livello del mare.
L’obiettivo non è solo sviluppare competenze adeguate negli studenti, ma anche fornire ulteriori strumenti didattici; nello specifico, vogliamo aggiornare le metodologie strategiche e l’esperienza scientifica nell’ambito della mappatura geologica degli ambienti costieri, attraverso un approccio sensibilmente più inclusivo, basato sull’uso della realtà virtuale e di tecnologie digitali.
Ci aiuta a comprendere meglio gli habitat definiti nearshore e cosa si intende per white ribbon?
White ribbon, termine coniato per la prima volta dal British Geological Survey, indica l’area sommersa all’interfaccia terra-mare che presenta un consistente gap conoscitivo. Si tratta di aree generalmente troppo basse per essere scandagliate utilizzando imbarcazioni dedicate, ma allo stesso tempo troppo profonde per riuscire facilmente a rilevarne la topografia di precisione col telerilevamento.
Sebbene mal conosciuta, questa zona nearshore, riveste un’importanza cruciale anche per le significative interazioni tra l’ambiente marino e gli habitat terrestri. Il mantenimento dei processi naturali è fondamentale per la sostenibilità degli ecosistemi e i benefici che ne derivano. Una particolare varietà di vegetazione assume un ruolo decisivo se, per esempio, è in grado di garantire la stabilità delle sponde, di ombreggiare la zona intertidale superiore o di procurare rifugio agli animali.
Gli ambienti subtidali, sommersi ma in prossimità della costa, sono preziosi anche in termini di biodiversità e quindi per la fornitura di risorse alimentari. L’inquinamento, l’estrazione mineraria, lo sfruttamento eccessivo e i cambiamenti climatici sono tutte pressioni antropiche che minano l’integrità di queste aree poco studiate e gestite in modo inadeguato, senza azioni dedicate a causa di un monitoraggio scarso o assente. Effettivamente, per attuare programmi efficienti, spesso mancano i dati in riferimento al pattern specifico.
Gli habitat costieri presentano caratteristiche molto diverse: abbiamo coste rocciose, spiagge, mangrovie, praterie di fanerogame, scogliere coralline… Ottenere un dataset spaziale, senza soluzione di continuità tra terra e mare, offre vantaggi diversi in ciascuno di loro. Per le spiagge, per esempio, sarebbe estremamente utile per tutte le attività ingegneristiche di ripascimento e protezione dall’erosione. Inoltre la successiva implementazione di modelli numerici consentirà sia la rappresentazione di scenari futuri, in vista dei cambiamenti climatici in atto o del rischio geologico in zone anche intensamente popolate, sia l’individuazione di opere di mitigazione e ripristino di aree degradate, in un’ottica di tutela ambientale e prevenzione del rischio.
Il progetto, coordinato dall’unità di ricerca del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra di Milano-Bicocca, vede la partecipazione di una pluralità di soggetti. Un’opportunità per gli studenti?
In un clima di confronto e condivisione estremamente proficuo, le Summer School permettono ai partecipanti di varie nazionalità di lavorare in gruppi e fare networking. Preliminarmente si procede con l’approfondimento della strumentazione tecnica e il reperimento pratico dei dati sul campo, attraverso l’uso di un vasto e innovativo comparto strumentale (droni, ecoscandagli multifascio, veicoli subacquei e altro ancora). Successivamente gli studenti imparano a processare in laboratorio le informazioni raccolte, tramite software dedicati e professionali, e come farle confluire in differenti prodotti, tra cui la generazione di una ricostruzione 3D, uno spazio virtuale che possono esplorare in prima persona.
Il nostro Dipartimento porta con sé tutta l’esperienza maturata presso il laboratorio di cartografia digitale marina (BlueGeoLab), il Marhe Center e il laboratorio GeoVires.
Il progetto prevede una partnership costituita da altre 5 università europee con competenze d’eccellenza nello studio dei rischi geologici e degli impatti climatici in aree marino/costiere (Kiel University, Arctic University of Norway, National and Kapodistrian University of Athens, University of Liège, University of Malta), l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, l’Istituto Nazionale di Astrofisica e un’impresa tedesca, Orthodrone, specializzata in servizi di acquisizione e analisi di dati LiDAR e fotogrammetrici, basati sull’uso di sistemi aerei senza equipaggio.
Sul fronte dei contenuti didattici, gli esiti di BridgET apporteranno un considerevole arricchimento, specificatamente nel corso di laurea magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche (dove sono attivi percorsi in Geologia Marina e Climate Change and Georisk) e ovviamente nel corso di laurea internazionale in Marine Sciences.
Quali risultati vi attendete dal progetto?
Grazie all’applicazione di un flusso di lavoro standardizzato, metteremo a punto best practice per la ricostruzione tridimensionale multiscalare di ambienti caratterizzati dall’incontro tra la terra e il mare. L’integrazione di dataset geospaziali multisorgente, terrestri e sommersi, è sempre stata una grande sfida metodologica, oggi superabile con l'avvento di tecniche all’avanguardia fornite dall’utilizzo di droni, remote sensing acustico e robotica sottomarina. Senza dimenticare i progressi in computer vision e analisi di immagini digitali tramite l’intelligenza artificiale. Molte di queste pratiche d’indagine non sono adeguatamente implementate nei programmi didattici, nemmeno a livello universitario.
I risultati attesi mirano ad offrire rilevanti impatti in vari ambiti. Uno di questi è l’industria offshore, caratterizzata da un mercato in crescita, sotto la spinta dell’espansione del settore delle telecomunicazioni che necessita di informazioni precise per il posizionamento dei cavi e dei relativi approdi. Il forte interesse ha portato alla richiesta di imbarcazioni specializzate in rilievi anche nearshore. Prospettive interessanti anche nella pianificazione dello spazio marino e degli ambienti costieri, dove il cambiamento climatico e il rischio tettonico, vulcanico o di altra natura geologica, costituiscono una seria criticità dai complessi risvolti turistici, sociali ed economici. Infine, puntiamo ad aumentare la consapevolezza dell’importanza delle zone di transizione tra terra e mare, la cui gestione dovrebbe includere un approccio educativo e partecipativo. La riproduzione di questi ambienti, attraverso l’uso della realtà virtuale, offre ampie possibilità di diffusione della conoscenza a vari livelli, per esempio scolastici e museali, in modalità aperta e accessibile.