Sentire un dolore che persiste nel tempo, ma non riuscire ad associarlo a nessuna causa specifica. Anzi, risentirne nella vita quotidiana tanto da esserne frustrati e limitati nelle attività sociali. I meccanismi di questa condizione, psicologicamente molto debilitante, saranno l’oggetto di studio di Eleonora Maria Camerone, assegnista di ricerca del dipartimento di Psicologia, che per la sua ricerca ha già ricevuto il finanziamento EFIC- Grünenthal.
Una ricerca sul dolore: ci spiega meglio in cosa consiste?
Il mio studio tratta del ‘dolore cronico primario’, ovvero quel dolore in una o più regioni anatomiche che persiste per più di 3 mesi ed è associato a significativo disagio emotivo o a significativa disabilità funzionale. In questo tipo di dolore non è possibile riscontrare una causa fisiologica evidente o comunque che possa giustificare l’intensità del dolore esperito dal paziente. Esso provoca un’interferenza con le attività quotidiane e la partecipazione ai ruoli sociali e la persona tende a sentirsi sola e incompresa nella sua sofferenza.
Chi ha coinvolto la ricerca?
Svolgerò il progetto con il mio supervisor, dott. Daniele Romano dell’Università Milano-Bicocca. Inoltre, il finanziamento EFIC-Grünenthal ci ha dato la possibilità di aprire una posizione per una borsa di ricerca che ci permetterà di assumere un/una assistente di ricerca per 18 mesi. Al momento ci stiamo muovendo per finalizzare l’accordo per condurre la ricerca presso un’azienda ospedaliera di Torino.
Com'è nato il suo interesse verso questa tematica?
Il mio interesse verso il dolore cronico è nato durante il mio percorso di dottorato in Neuroscienze, durante il quale ho studiato l’analgesia (ridotta sensibilità) da placebo e l’iperalgesia (aumentata sensibilità) da nocebo, ovvero quei fenomeni in cui un trattamento inerte, se presentato come avente proprietà di riduzione e aumento del dolore, porta all’esperienza di analgesia e iperalgesia. L’aspettativa ha un ruolo centrale nell’induzione sia nel placebo che nel nocebo: da qui nasce il mio interesse verso l’aspettativa come modulatrice della percezione del dolore anche quando cronico.
Il dolore rappresenta un problema sanitario rilevante: in che termini?
Il progetto tratta di dolore cronico primario ovvero quel dolore fisico che non è riconducibile a cause specifiche ma che può essere estremamente debilitante per il paziente. I meccanismi che sottostanno a questo tipo di dolore sono incerti, ma la componente psicoaffettiva ha un ruolo importante nell’amplificare il segnale nocicettivo – cioè determinato dalla stimolazione di un nocicettore, ossia di un recettore sensibile agli stimoli dolorifici - che dalla periferia raggiunge il sistema nervoso centrale.
L’informazione pubblica relativa alle opzioni di presa in carico delle condizioni di dolore cronico primario rimane insoddisfacente. Molti individui che soffrono di questa condizione non sanno a chi rivolgersi: data la difficoltà nel trovare una causa che spieghi questo dolore, spesso i pazienti si trovano a girare da un professionista sanitario all’altro in cerca di risposte, che spesso non trovano. Il risultato è l’aumento della loro frustrazione.
Quale metodologia di ricerca utilizzerete?
Il metodo di raccolta dati si definisce “valutazione momentanea ecologica”: esso permette di misurare i parametri di interesse in tempo reale. Ovvero, nel nostro progetto vogliamo vedere come l’aspettativa e la sicurezza nella propria aspettativa predicano il dolore percepito successivamente. A tal fine, i pazienti utilizzeranno una app per dare le proprie valutazioni tranquillamente da casa, 5 volte al giorno (mattino presto, tarda mattinata, pranzo, pomeriggio e sera) per due settimane. In questo modo riusciremo a raccogliere dati che ci interessano durante la quotidianità della vita del paziente. Il nostro obiettivo è di creare un modello che predica le fluttuazioni del dolore nel tempo in modo da sviluppare metodi di trattamento che possano essere sincronizzati con l’andamento del dolore.
A quando gli esiti?
La raccolta dati con pazienti richiede sempre un po’ di tempo. L’obiettivo è di concludere lo studio in 24 mesi in modo da presentare i risultati alla comunità scientifica durante il prossimo Convegno della European Pain Federation (EFIC) che si terrà nel 2026 a Lione. Quello che possiamo però anticipare è che abbiamo condotto un esperimento in laboratorio che ha testato la relazione tra aspettativa e dolore percepito su partecipanti sani in cui il dolore è stato indotto in modo sperimentale con stimolazioni elettriche.
I risultati ci mostrano che il dolore viene predetto non solo dall’aspettativa, ma da quanto si è certi in tale aspettativa, dando un iniziale supporto alla nostra ipotesi messa ora al centro di questo grant vinto. Ci aspettiamo infatti di estendere questo risultato alla popolazione clinica con dolore cronico: se così fosse, potremo identificare un nuovo target di intervento per chi soffre di dolore cronico, ovvero la certezza che il paziente ha nella propria aspettativa.