Dallo Spazio al deserto di Ica, dai laghi alle scogliere coralline, passando per le scoperte in campo medico e psicologico, questa estate la ricerca firmata Bicocca si è fatta notare in numerosi ambiti.
Il valore della produzione scientifica - insieme al numero degli studenti e alle performance della didattica - ha permesso all'Ateneo di ottenere una quota maggiore del 6,43 per cento rispetto al 2022 del Fondo di Finanziamento ordinario.
«La quota premiale, che riconosce la qualità della produzione scientifica dei nostri docenti, sfiora i 53milioni di euro. Ancora una volta viene premiata la qualità della ricerca - ha dichiarato la rettrice, Giovanna Iannantuoni-. I fondi dell’FFO, insieme alle risorse del PNRR, consentiranno a Milano-Bicocca di consolidare l'identità di ateneo innovativo e di realizzare il piano di investimenti in risorse umane e infrastrutture».
Il lento e ampio respiro dell’Universo
A giugno, una collaborazione internazionale di astronomi europei (European Pulsar Timing Array -EPTA), fra cui i ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e dell’INAF, ha pubblicato i risultati di oltre 25 anni di osservazioni effettuate da sei dei radiotelescopi più sensibili del mondo.
Nel team c’è anche Alberto Sesana, docente di Astrofisica dell’Ateneo, che ha dichiarato: “Con questa scoperta abbiamo aperto una nuova finestra sull’Universo: per la prima volta abbiamo potuto “ascoltare” il suo ampio e lento respiro”.
Risultati che promettono di condurre a scoperte senza precedenti nello studio della formazione e dell'evoluzione del nostro Universo e delle galassie che lo popolano.
Bicocca in orbita con Zeprion per la scoperta di nuovi farmaci
Lo scorso 2 agosto invece è stato lanciato in orbita, verso la Stazione spaziale internazionale, Zeprion, l’esperimento che ha il compito di mettere a punto e validare un meccanismo molecolare alla base di un nuovo protocollo farmacologico contro le malattie neurodegenerative.
Il protocollo, sviluppato da Pietro Faccioli, docente di Milano-Bicocca e ricercatore INFN, e Emiliano Biasini (Università di Trento), si basa sull’identificazione di piccole molecole (dette ligandi), in grado di unirsi alla proteina che costituisce il bersaglio farmacologico durante il suo processo di ripiegamento spontaneo, evitando così che questa raggiunga la sua forma finale. “La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici apre la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili”, spiega il docente.
Pazienti e terapeuti più vicini grazie alla Video Game Therapy
Dalle realtà ancora piene di segreti a quelle virtuali. Che possono curare.
Un gruppo di ricercatori di Milano-Bicocca, attraverso uno studio pubblicato recentemente, ha chiarito in che modo i videogiochi possano essere dei facilitatori di cura per traumi. Possono servire per trattare casi di dipendenze, per supportare i Neet - giovani che non lavorano né studiano - o anche per i disturbi da deficit dell’attenzione o dell’apprendimento.
Secondo lo studio, l'approccio della VGT® (Video Game Theraphy) risulta utile in particolare nella creazione di un efficace rapporto terapeuta-paziente. Al suo interno vengono integrate varie tecniche psicologiche, come l’ascolto attivo, le libere associazioni, l’esposizione allo stimolo, la catarsi e la desensibilizzazione rispetto a un ricordo/evento traumatico.
Anche i più piccoli sensibili all’esclusione sociale
Restando in ambito psicologico, i ricercatori del Bicocca Child&baby lab hanno recentemente pubblicato uno studio che ha rivelato come anche i bambini di soli 13 mesi siano sensibili all’ostracismo e reagiscano in modo diverso quando vengono inclusi o esclusi in situazioni sociali.
La ricerca è stata condotta sui bambini coinvolti in un gioco con una palla, nel quale potevano essere inclusi, ricevendo la palla, oppure ostracizzati, venendo esclusi dal gioco dopo i primi due passaggi. I risultati hanno dimostrato che i bambini ostracizzati erano meno inclini a sorrisi e risate e mostravano invece in misura maggiore espressioni emotive negative come pianto o rabbia.
Microplastica: alcuni laghi soffrono più degli oceani
Sul tema dell’ambiente e della sostenibilità, troviamo uno studio internazionale guidato da Milano-Bicocca e pubblicato su "Nature" che ha messo in luce come in alcuni casi le concentrazioni di plastiche e microplastiche negli ambienti d’acqua dolce siano maggiori di quelle riscontrate nelle aree oceaniche. Frammenti di rifiuti plastici, fibre derivanti dal lavaggio di indumenti, residui di imballaggi. Plastiche e microplastiche hanno invaso laghi e bacini idrici artificiali su scala globale.
Il lavoro, guidato dalla giovane ricercatrice Veronica Nava, sotto la supervisione della professoressa Barbara Leoni, entrambe del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra, ha coinvolto 79 ricercatori appartenenti al network internazionale Global Lake Ecological Observatory Network (GLEON). Gli studiosi hanno prelevato campioni di acqua superficiale, usando dei retini da plancton, da 38 laghi collocati in 23 diversi Paesi, distribuiti in 6 continenti, rappresentativi di diverse condizioni ambientali. I campioni sono poi stati analizzati all’Università di Milano-Bicocca, grazie alla strumentazione tecnologicamente avanzata messa a disposizione dalla rete interdipartimentale di spettroscopie di ateneo.
Dalla natura una soluzione contro lo sbiancamento dei coralli
Anche se in sofferenza, la natura non smette di sorprenderci e ci regala una possibile soluzione per contrastare lo sbiancamento dei coralli. Si tratta della curcumina. Grazie all’ingegno dei ricercatori dell’Istituto italiano di tecnologia- IIT e di Milano-Bicocca è stata dimostrata l’efficacia di questa sostanza naturale nella protezione dei coralli dai danni dei cambiamenti climatici.
La molecola viene somministrata ai coralli attraverso un biomateriale biodegradabile, sviluppato dal team di ricerca, che nei test svolti all’Acquario di Genova si è dimostrato efficace nel proteggerli dallo sbiancamento.
Perucetus colossus: l’animale più pesante mai esistito
Una scoperta inaspettata è stata quella avvenuta nel deserto di Ica, lungo la costa meridionale del Perù, dove sono riaffiorati i resti fossilizzati di uno straordinario animale risalente a quasi 40 milioni di anni fa: un antenato delle balene e dei delfini caratterizzato da ossa grandissime e pesantissime che fanno pensare a un cetaceo dalle proporzioni titaniche.
A raccontarci i dettagli è un articolo pubblicato sulla rivista Nature e frutto della collaborazione delle università di Pisa, Milano-Bicocca e Camerino.
A Bicocca il compito di datare i resti fossili e – come racconta Giulia Bosio, paleontologa del dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della terra – “Questo deserto ospita uno dei più grandi giacimenti di vertebrati fossili del mondo, oggetto di studio ormai da più di quindici anni”.
Disturbi neurologici da Covid-19: meno pericolosi nelle ondate successive alla prima
E mentre la comunità scientifica discute di “Eris”, la nuova variante del Covid, gli esiti di un recente studio pubblicato sulla rivista "Neurology", promosso dalla Società Italiana di Neurologia (SIN), ci dicono che i disturbi neurologici legati al virus (dalla cefalea cronica, passando per la riduzione di olfatto e gusto, fino all’ictus ischemico) sono stati meno frequenti e nella maggioranza dei casi risolti, spesso anche in tempi brevi, nelle ondate pandemiche successive alla prima.
Il progetto Neuro-COVID Italy ha coinvolto 38 unità operative di Neurologia in Italia e nella Repubblica di San Marino ed è stato coordinato dal Prof. Carlo Ferrarese, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano-Bicocca presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza. Simone Beretta, primo autore dello studio, spiega: «La ragione più probabile di questa riduzione sembra quindi legata alle varianti stesse del virus, che passando da quella originale di Wuhan fino a Delta lo hanno reso meno pericoloso per il sistema nervoso. Con la variante Omicron e l’uso dei vaccini, la situazione è andata ulteriormente migliorando e i disturbi neuro-COVID sono ora diventati molto rari».
In copertina: la ricercatrice Veronica Nava nel laboratorio di microspettroscopia Raman del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca