A quattro mesi dal paziente 1 il virus ha rallentato la sua corsa. Questo significa davvero che il virus è mutato? Lo abbiamo chiesto al professor Paolo Bonfanti, infettivologo dell’Università di Milano-Bicocca.
«Attualmente sui mass-media si sta facendo un po’ di confusione: nel corso dell'epidemia il virus ha subito mutazioni, per nessuna delle quali, tuttavia, è stata dimostrata l’emergenza di un ceppo meno aggressivo. Tanto è vero che il virus continua a diffondersi nel mondo, causando numerosi morti, come sta succedendo in Sudamerica. Da noi in Italia non si osservano più malati gravi perchè stiamo osservando la coda della prima ondata epidemica. I casi riscontrati oggi sono spesso di persone che hanno effettuato il test sierologico: se il test risulta positivo, cioè sono stati rilevati gli anticorpi, viene di conseguenza eseguito un tampone. In molti casi, anche il tampone risulta positivo. Si tratta di persone che si sono ammalate settimane fa e che risultano ancora positive: sono appunto la coda della precedente epidemia».
E’ per questo che i malati che arrivano in ospedale sono meno gravi?
Sì, in parte la spiegazione è racchiusa nella risposta precedente. L’altro aspetto da considerare è che oggi, grazie al lockdown, il virus circola molto meno e non raggiunge quella “massa critica” di casi necessari per far emergere i casi gravi, che sono la minoranza. La maggior parte delle persone sviluppa, oggi lo sappiamo bene, una malattia asintomatica o scarsamente sintomatica: è ciò che osserviamo ora su numeri piccoli.
Il virus si è fatto spazio anche nei Paesi più caldi, non c'è quindi nessuna correlazione?
Sicuramente nel periodo invernale si creano condizioni (spazi chiusi, irritazione delle vie aeree) che ne facilitano la trasmissione ma come si può vedere in Sudamerica o in California non è fermato dal caldo.
Il rischio di una seconda ondata è reale?
Il rischio esiste e la prova è quanto sta succedendo in Germania o in Cina. Però ora abbiamo strumenti per identificare rapidamente i nuovi focolai epidemici. La seconda ondata, se arriverà, non potrà avere lo stesso impatto della prima.
Oggi, rispetto all'inizio della pandemia, sappiamo meglio come gestire, dal punto di vista clinico e sanitario, i malati di Covid-19?
Sì, sappiamo identificarli più precocemente e, rispetto a prima, alcuni studi ci hanno permesso di comprendere quali farmaci funzionano e quali no.
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