Ghiaccio color porpora sulle Alpi: ecco perché - Bnews Ghiaccio color porpora sulle Alpi: ecco perché

Ghiaccio color porpora sulle Alpi: ecco perché

Ghiaccio color porpora sulle Alpi: ecco perché
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Non solo l’aumento della temperatura e la diminuzione delle precipitazioni. Se il ghiaccio fonde è anche a causa di un fenomeno tutto naturale. Esistono alcune specie di alghe, in grado di sopravvivere anche in condizioni estreme, che hanno l’effetto di scurire il ghiaccio e di contribuire alla sua fusione, anche sulle Alpi Europee. In che modo? Ce lo spiega Biagio Di Mauro, ricercatore del dipartimento di Scienze dell'ambiente e della terra dell'Università di Milano-Bicocca, il quale ha recentemente condotto uno studio dal titolo “Glacier algae foster ice-albedo feedback in the European Alps”, pubblicato sulla rivista internazionale Scientific Reports (Nature publishing group).

Dottor Di Mauro, facciamo un breve ripasso: c'è vita sui ghiacciai?

Sì, la superficie dei ghiacciai ospita varie forme di vita, sia di tipo microbico che di tipo più complesso (es. artropodi e anellidi). La biodiversità in ambiente glaciale è spesso concentrata in piccole cavità presenti sul ghiaccio, note come cryoconite holes. Altre forme di vita come le alghe unicellulari possono essere invece disperse più diffusamente sulla superficie del ghiacciaio e dare luogo a delle vere e proprie “esplosioni algali” durante la stagione di fusione estiva. La presenza di acqua di fusione sul ghiaccio infatti permette loro di svilupparsi e riprodursi. Queste alghe hanno pigmenti fotosintetici che consentono loro di fare fotosintesi utilizzando la radiazione solare e l’anidride carbonica in atmosfera.

Al centro del vostro studio c'è un meccanismo coinvolto nella fusione dei ghiacciai: di cosa si tratta?

La presenza di organismi come le alghe ha l’effetto di scurire il ghiaccio, ovvero diminuirne la quantità di radiazione solare riflessa (nota anche come albedo) dal ghiaccio e aumentarne la fusione. Questo processo di scurimento è noto come “bio-albedo feedback”. Quando l’acqua di fusione è disponibile sui ghiacciai, le alghe unicellulari trovano condizioni adatte e si moltiplicano. Il loro colore porpora, dovuto ai pigmenti fotosintetici, diminuisce l’albedo dei ghiacciai e accelera ulteriormente la fusione di neve e ghiaccio, favorendo la presenza di un sottile strato di acqua che permette loro di sopravvivere in condizioni altrimenti poco ospitali per la vita.

Si tratta di un processo già osservato in Groenlandia. In questo caso, qual è la novità?

In Groenlandia la presenza di alghe sulla calotta polare induce lo scurimento di una ampia porzione (circa 100,000 km2) di ghiaccio nota come “dark zone”, amplificando la fusione estiva del ghiaccio. Nelle Alpi Europee questo fenomeno non era mai stato identificato quantitativamente. Il nostro studio per la prima volta ha mostrato che il processo di bio-albedo feedback può avvenire anche alle nostre latitudini. In particolare, i campioni raccolti al ghiacciaio del Morteratsch (Engadina, Svizzera) hanno permesso di sequenziare il DNA degli organismi presenti sulla superficie del ghiacciaio e studiarli al microscopio. I risultati hanno evidenziato la presenza di colonie della specie Ancylonema nordenskioeldii, nota per la sua abbondanza nella dark zone in Groenlandia.

Sappiamo che le alghe non sono le uniche responsabili di questo fenomeno: quali gli altri fattori?

Sicuramente l’aumento della temperatura dell’aria e la diminuzione delle precipitazioni nevose giocano un ruolo fondamentale nella fusione dei ghiacciai Alpini. Le alghe in questo caso hanno l’effetto di far aumentare la quantità di radiazione assorbita dal ghiaccio e quindi incrementarne la fusione estiva.

L'insieme di questi fattori che impatto ha sul clima?

La comunità scientifica è allineata sul fatto che la fusione dei ghiacciai sia una conseguenza del cambiamento climatico in atto. Un interessante studio ha di recente mostrato che entro la fine del secolo il 90 per cento dei ghiacciai Alpini potrebbe scomparire a causa di questi processi. La presenza di alghe sulla superficie dei ghiacciai non è presa in considerazione in quello studio e, ahimè, potrebbe portare a delle stime ulteriormente sconfortanti per il futuro dei ghiacciai Alpini.

Quali saranno i prossimi passi di questa ricerca?

Stiamo già da qualche anno lavorando alla creazione di modelli digitali dei ghiacciai tramite l’utilizzo di droni. Speriamo che per l’estate l’emergenza Coronavirus sia rientrata, così potremo tornare sul ghiacciaio del Morteratsch per acquisire nuove misure. Il prossimo passo sarà quello di mappare la concentrazione di alghe sul ghiaccio a partire da immagini acquisite da drone e da satellite, e così valutare l’effetto delle alghe sui bilanci di massa dei ghiacciai. In futuro studieremo questo processo anche in Antartide nei pressi della stazione italiana Mario Zucchelli, grazie al progetto BioGeoAlbedo, coordinato da me e supportato dal Programma Nazionale di Ricerca in Antartide (PNRA).