Uno studio recente, pubblicato su Open Access Library Journal e finanziato da Fondazione Cariplo, ha indagato la relazione tra fattori di rischio comportamentali e mortalità per malattie non trasmissibili, con particolare attenzione alle differenze a livello di quartiere nella città di Milano. Obiettivo della ricerca è stato quello di stimare l’impatto di alcuni comportamenti a rischio per la salute (abitudine al fumo, consumo eccessivo di alcol, eccesso ponderale, alimentazione sbilanciata, inattività fisica) nei quartieri milanesi.
Lo studio è stato realizzato in collaborazione con il dott. Antonio Giampiero Russo, direttore dell’Unità di Epidemiologia di ATS Milano.
Approfondiamo alcuni temi con gli altri due autori, David Consolazio e David Benassi del Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell'Università di Milano-Bicocca.
Quali sono le fonti di dati da cui siete partiti per realizzare lo studio?
David Consolazio - Con le fonti attualmente a disposizione, al di sotto del livello comunale o provinciale non sono disponibili dati relativi alla distribuzione territoriale dei fattori di rischio. Abbiamo quindi adottato una strategia indiretta, combinando i dati amministrativi sanitari di ATS Milano con i dati sulle quote di decessi attribuibili a ciascun fattore di rischio, provenienti da un importante studio internazionale (Global Burden of Disease). In questo modo è stato possibile ricondurre ogni decesso, di cui conosciamo la causa principale grazie ai registri di mortalità, alla probabilità che questo sia avvenuto a causa di un fattore di rischio tra quelli indagati.
Questa ricerca ha messo in luce la necessità di leggere i fenomeni di salute con alcune chiavi interpretative di tipo sociologico. Perché è sempre più importante oggi questa chiave di lettura?
David Benassi - Le variabili sociali non fanno solo da sfondo alla salute pubblica, spesso possono avere un’influenza importante nello sviluppo di determinate patologie o nella loro prevenzione.
Adottando questa prospettiva, il contesto abitativo e urbano entrano in relazione con i comportamenti assunti dai cittadini, così come in alcuni casi la posizione sociale e la relativa condizione di disuguaglianza su cui si possono stratificare una serie di riflessioni.
Le abitudini di tutti noi sono radicate e adottate non solo sulla base della loro pericolosità, dal momento che entrano in gioco altri elementi. Prendiamo l’esempio del fumo: che faccia male lo sappiamo tutti, eppure in alcuni contesti sociali si fuma più che in altri. Scoprire il perché amplia la visione del fenomeno e consente di affrontarlo. La mappa del nostro studio mostra una differenza di genere sui decessi legati al fumo come fattore di rischio; mentre negli uomini si rileva una concentrazione dei decessi nelle aree più periferiche della città, nelle donne si riscontra piuttosto una correlazione inversa. Questa difformità offre elementi interessanti per ragionare sulla valenza sociale del fumo nel corso del tempo, per gli uomini e per le donne.
L’ambiente in cui viviamo ha un’influenza sulle nostre scelte di vita. Può farci qualche esempio?
David Benassi - Il contesto in cui siamo inseriti ci influenza in tanti modi e spesso non ne siamo completamente consapevoli. Partiamo dall’abitudine di camminare, elemento fondamentale per contrastare la sedentarietà, che può essere favorita dall’esistenza di negozi di quartiere che non ci obbligano a prendere sempre l’auto per fare la spesa, con una ricaduta anche su traffico e inquinamento. Così come utilizziamo volentieri la bicicletta quando ci sentiamo sicuri sulle piste ciclabili. La sicurezza non è un tema solo stradale ma anche sociale: la percezione di un quartiere insicuro può spingere i suoi abitanti a restare a casa dopo il lavoro, sul divano davanti alla tv, oppure a ricorrere all’uso della macchina piuttosto che uscire a piedi o usare i mezzi pubblici.
La presenza di impianti e strutture sportive facilita ovviamente l’attività fisica ma bisogna considerare che spesso i corsi organizzati rappresentano una voce di spesa considerevole per le famiglie.
Guardare ai problemi di salute considerando il contesto sociale dei cittadini, può contribuire a gettare una luce nuova sulle politiche di prevenzione sanitaria ma anche di urbanizzazione e progettazione dei servizi rivolti alla cittadinanza. Una buona conformazione urbana aiuta le persone ad adottare stili di vita sani che non sono solo il frutto di decisioni individuali.
Questo studio si è concentrato sulla città di Milano, ma il metodo d’indagine può essere applicato a contesti diversi?
David Consolazio - Certamente, riteniamo che sia suscettibile di ulteriori sviluppi e applicazioni. Gli elementi che si ricavano possono contribuire all’azione di prevenzione svolta dalle autorità e dai decisori politici. Sicuramente sarebbe però ancor più interessante e utile avere una raccolta diretta di queste informazioni ad una grana più fine, evitando di dover ricorrere a delle stime che, pur costituendo un importante passo avanti rispetto alla totale carenza di informazioni, rimangono degli indicatori imperfetti. Lo studio, tuttavia, testimonia l’importanza dei dati amministrativi e la possibilità di analizzarli congiuntamente ad altre fonti di dati di svariato tipo. Non a caso, la ricerca è stata condotta nell’ambito di un progetto finanziato da Fondazione Cariplo volto a favorire l’utilizzo della cosiddetta Data Science per la promozione della conoscenza quale bene pubblico, e la sfera della salute è sicuramente un tema che non si può lasciare indietro.
Articolo di Chiara Bulfamante e Enzo Scudieri