Come fa una stringa di fonemi-grafemi, casuale e senza senso, a trasformarsi in un termine con un preciso significato? Questa domanda è alla base dello studio“On humans' (explicit) intuitions about the meaning of novel word”, che ha indagato come ognuno di noi attribuisca significato a “qualcosa che prima non ne ha”.
Co-autore della ricerca congiunta tra le Università di Pavia e di Milano-Bicocca, è Marco Marelli, ricercatore in psicologia di Milano-Bicocca e già vincitore di un ERC Grant su un progetto di 5 anni - di cui questo studio fa parte - a cui abbiamo chiesto di spiegarci il meccanismo di questo processo e la sua importanza.
Anzitutto, professore, qual è stato l’obiettivo dello studio?
Lo scopo era proprio “come comprendiamo le parole”, come colleghiamo una stringa di simboli scritti a un certo significato. Infatti, sappiamo che noi esseri umani attribuiamo il significato in base ad un tacito accordo tra i parlanti. Ma come “attiviamo” il significato a nuove parole, nel senso non di neologismi, ma parole inventate da noi? Con questo studio abbiamo cercato di valutare se esiste un’intuizione di significato da parte del parlante sulla base solo del suono o di altre unità sub lessicali, ovvero i “pezzi” che compongono le parole.
Un esempio di questo, anche se estremo, è stato il termine “petaloso”: una parola morfologicamente complessa, composta da termini che conosciamo, insieme hanno formato una nuova parola con un significato evidente ad ogni parlante dell’italiano.
Attraverso quale metodo di ricerca avete svolto lo studio?
La ricerca è stata di tipo sperimentale. Abbiamo presentato ai partecipanti delle stringhe di lettere e abbiamo chiesto di leggere queste nuove parole. Quando si costruiscono stringhe di fonemi e di lettere non è così semplice predirne i significati. La strategia è stata usare modelli computazionali presi in prestito dall’AI, antenati dei moderni large language model: addestrando il modello su raccolte di testi per catturare il significato delle parole e poi lavorando sulle unità sub lessicali, abbiamo trovato il significato anche delle nuove parole. Un modello di base elabora infatti il significato delle parole intere (gatto, cane…), il nostro modello impara anche dalle loro unità sub lessicali (gat-tto, can-ane, etc..).
Possiamo sottoporgli qualsiasi stringa di lettere e il modello ci darà come predizione le parole che quella stringa di lettere dovrebbe evocare al parlante.
Porto un esempio delle “non-parole” usate nello studio: per verificare la tipologia di associazione, abbiamo presentato ai partecipanti la nuova parola TOLQUE e chiesto loro di scegliere tra due parole conosciute (SCIENCE e SHEPARD), chiedendo quale parola secondo loro era più in linea con quella sconosciuta. Il risultato è stato che il 66 per cento dei rispondenti era in accordo con la predizione del modello.
Qual è l’importanza di questo studio e quali impatti concreti può avere?
Secondo me, ha anzitutto dei portati applicativi: questo risultato ci dice come un essere umano affronta una novità, come dà significato a qualcosa che in linea di principio non ce l’ha, come mette il significato nel mondo cioè come organizza la propria esperienza, caratterizzata da un torrente di informazioni.
Non solo. Ci dice inoltre come gestiamo l’informazione linguistica: come apprendiamo una lingua, per esempio. Non sarebbe necessario sapere esplicitamente “che x significa y”, ma tutti i “pezzi” che compongono x possono già aiutarci a dare un significato a x. Questo processo allora potrebbe essere importante nell’apprendimento di una seconda lingua, proprio perché funziona a livello di struttura della parola, anche la prima volta che ne faccio esperienza.
In concreto, i domini naturali di questo studio vanno dall’education alla riabilitazione linguistica. Come gruppo di ricerca, stiamo infatti lavorando per sviluppare protocolli riabilitativi per pazienti con disturbi neurologici. Vi è inoltre un campo di ricerca promettente nel marketing e nella comunicazione: il cosiddetto “brand name generation”. Attraverso modelli analoghi usati per questo studio, si potrebbero infatti evocare le caratteristiche che si vogliono associare al brand creando le associazioni volute.