Milano città acquatica. Un aspetto del capoluogo lombardo che forse non tutti conoscono. Un aspetto descritto nei minimi particolari dal libro L’Oro di Milano. Usi agricoli e sociali delle acque milanesi (Anthelios Edizioni) uscito nella collana del sito di storia della scienza della nostra università “Milano città delle scienze”, catalogo dell’omonima mostra fotografica organizzata in occasione dell’Expo al Castello Sforzesco (dal quale è tratta la foto del Naviglio nel 1920). Un aspetto che tornerà al centro di un’altra esposizione, in autunno, organizzata anch’essa all’Università di Milano-Bicocca, sulla vicenda della copertura del Naviglio interno di Milano, dell’odierno progetto di riattivarlo e dell’idrovia per collegare Milano al mare Adriatico ancor’oggi incompiuta. Della centralità dell’acqua nella storia di Milano parliamo con Pietro Redondi, tra gli autori del catalogo (insieme a Maria Antonietta Breda e Maurizio Brown) e tra i curatori di entrambe le mostre – passata e futura – nonché professore di Storia della scienza e delle tecniche del nostro Ateneo.
Professore, perché Milano si può definire una città d’acque?
Milano è sempre stata considerata una città “secca”, a confronto di altre grandi metropoli sorte e sviluppatesi sui grandi fiumi. Eppure, la sua ricchezza nasce proprio dalle acque, superficiali e sotterranee, naturali e artificiali: dalla falda alle risorgive, dai canali fino alle fognature. Inoltre, una possibile spiegazione dell’etimologia del suo nome è Medio amnium, in mezzo ai fiumi: il capoluogo lombardo si trova al cuore di un sistema di acque compreso tra il Ticino e l’Adda, tra l’Olona e il Lambro ed è affacciato a sud su una straordinaria fascia di fontanili: risorgive naturali che da secoli hanno fatto della pianura umida milanese un capolavoro di agricoltura intensiva.
In questo senso l’acqua storicamente è sempre stata “l’oro di Milano”?
La ricchezza della città, prima che commerciale o industriale, è stata agricola fin dai tempi del Barbarossa. Frutto del lavoro di generazioni che hanno trasformato la Pianura Padana da zona alluvionale paludosa in un “giardino produttivo”, per citare Carlo Cattaneo. Una macchina economica sorta su un percorso di chiuse e canali, realizzati da secoli di lavoro umano. Senza dimenticare il fiume sotterraneo di Milano.
Quale?
La falda, che non si vede ma si beve. Da sempre i milanesi hanno bevuto l’acqua pescata dai pozzi. Di temperatura fresca tutto l’anno.
A Milano c’è anche un mare...
Nato alla fine degli anni Venti come porto per gli idrovolanti, l’Idroscalo, una volta dismesso, ha riscoperto una vocazione in chiave sportiva e turistica, meta per sport nautici e attività di pesca e balneazione. Negli anni ‘60 accorrevano folle enormi di milanesi, di chi non poteva permettersi il mare. Ancora oggi l’Idroscalo è fonte di svago, un grande parco di successo.
Sul fronte urbanistico, la Darsena è stata riaperta quattro anni fa. C’è chi sogna la riapertura in città del Naviglio…
C’è un dibattito, c’è stato un referendum. Non sta a me dare indicazioni politiche, mi interessa di più restituire una visione storica della questione. In università, il prossimo autunno, organizzeremo una mostra sulla storia e la funzione civile del Naviglio interno di Milano. Chiunque potrà farsi un’idea del ruolo che questo antico canale urbano ha avuto e di quello che è successo prima, durante e dopo la sua copertura tra il 1929 e il 1930.