Secondo i ricercatori che hanno lavorato a questo progetto è possibile ora valutare in modo molto più preciso la biodiversità presente nei nostri fiumi. Abbiamo chiesto al dottor Fornaroli, coautore di questo studio, di spiegarci in che cosa consiste questo nuovo metodo e qual è lo stato dei nostri fiumi sulla base dello studio appena concluso.
Perché è importante occuparsi della salute dei nostri corsi d’acqua?
I fiumi sono elementi che caratterizzano un territorio e sono sostanziali per il funzionamento di qualunque società umana e per il benessere delle persone che ci vivono intorno. Sono dei collettori, ricevono gli scarti di tutta la regione circostante: ogni nostro modo di agire sul territorio ha un’influenza sul fiume, il che vale naturalmente anche per il territorio a monte del tratto fluviale interessato. Quando un fiume ha dei problemi, significa che c’è qualcosa che non va nel territorio, è come una sintomatologia: l’ecosistema circostante viene gestito in modo disfunzionale.
Qual è oggi lo stato dei fiumi e come è cambiato negli ultimi decenni?
Abbiamo pubblicato due studi recentemente, uno su Nature l’anno scorso e l’altro da poco su Nature Ecology and Evolution, e i risultati di queste ricerche ci dicono che la qualità dei corsi d’acqua è aumentata molto fino a tutta la prima decade del XXI secolo, poi il progresso si è fermato. Il secondo articolo in particolare ci ha fornito una stima più precisa, perché la biodiversità può essere quantificata in molti modi. Questo studio ci ha permesso di mettere a punto parametri per valutare nel modo migliore la biodiversità presente nei corsi d’acqua: siamo riusciti a confrontare ogni comunità biologica presente con una comunità di riferimento teoricamente esente da impatti antropici. I singoli indicatori che vengono utilizzati possono dare risultati contraddittori, perché i fattori di stress indotti dall’impatto antropico possono produrre effetti in controtendenza tra di loro o rispetto alle conseguenze attese. In questo modo invece siamo in grado di stimare quanto le condizioni attuali si allontanano da una situazione in cui le attività umane non interferiscono.
Quando si parla di impatto antropico si pensa in genere ai problemi legati all’inquinamento, però ci sono anche altri problemi legati alla variazione di portata dei fiumi in quanto controllata a monte artificialmente per garantire i bisogni delle nostre attività agricole e industriali. Le variazioni di portata osservabili nel contesto Sud alpino sono molto ampie e gli animali che vivono nei fiumi italiani si sono evoluti in modo da convivere con queste variazioni. Le alterazioni di portata con conseguenze più drastiche che possono interessare un fiume sono le secche, altre non meno importanti sono legate alla riduzione delle variazioni di portata: le tempistiche e le quantità non possono essere stravolte. Nel nostro contesto ambientale, per un buon funzionamento dell’ecosistema fluviale, sono necessarie piene alla fine dell’autunno perché “puliscono” il letto del fiume; senza le piene autunnali rimarrebbe troppo materiale vegetale sul letto del fiume per un’efficace riproduzione di molti pesci ed insetti. D’inverno c’è poca acqua e non vi sono variazioni di portata rilevanti perché l’acqua rimane in montagna sotto forma di neve, ed è questo il momento in cui alcuni pesci depongono le uova sul fondo: il passaggio di una piena, o l’ulteriore riduzione della portata in questo momento dell’anno, può avere effetti catastrofici sulla riproduzione, soprattutto delle trote.
Come è cambiato nel tempo l’atteggiamento degli amministratori e delle istituzioni rispetto a questo tema?
L’attenzione per le tematiche ambientali è cresciuta, per quanto riguarda la gestione ordinaria i progressi sono stati notevoli. Fino agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso la depurazione dell’acqua era carente se non assente. Ora la normativa è chiara per quanto riguarda gli usi umani delle acque nella gestione ordinaria. Quando però si verifica un evento fuori dalla norma, per esempio la siccità dell’estate del 2021, la normativa ambientale viene spesso messa in deroga per soddisfare i bisogni umani legati alla produzione di energia e agricoltura. Questo ci suggerisce che il valore che viene dato a questi ecosistemi non è ancora sufficiente, le necessità ambientali dovrebbero essere considerate come un fattore imprescindibile in situazione emergenziale. Bisogna affrontare scelte che implicano investimenti di lungo periodo perché in futuro ci sarà sempre più variabilità nella disponibilità idrica e questo esaspererà una situazione già complicata.
Negli ultimi cinquant’anni le reti fognarie e soprattutto gli impianti di depurazione sono stati oggetto di notevoli sviluppi e la qualità chimica delle acque è conseguentemente migliorata. Attenzione minore è stata dedicata agli scolmatori di piena che, durante eventi meteorici di una certa intensità sversano direttamente nel reticolo idrografico i reflui senza nessun tipo di depurazione, con conseguenze anche gravi per il recettore. Nonostante la disponibilità di tecnologie per il trattamento delle acque di scolmo fognario, allo stato attuale la maggior parte degli scolmatori nei giorni di pioggia scarica direttamente nei fiumi o nel loro reticolo minore.
Si può dire che gli amministratori e le istituzioni mostrano la volontà di proteggere gli ambienti fluviali, il problema grosso sono gli impatti che vengono fatti nei periodi di emergenza, quando la gestione ordinaria viene a mancare.
Nella prospettiva di un cambiamento climatico quale strategia è auspicabile?
Esistono una serie di misure che ci permetterebbero di essere molto più resilienti. Cambiare tipo di colture per esempio, scegliendo piante che necessitano di meno acqua. Migliorare i sistemi di irrigazione: buona parte dell’irrigazione agricola in Val Padana è a scorrimento, una tecnologia vecchia di millenni e non molto efficiente, esistono soluzioni tecnologiche che consentono risparmi idrici molto importanti e andrebbero maggiormente incentivate. Un'altra soluzione è quella di costruire vasche di raccolta dell’acqua anche in pianura, in modo che possa essere utilizzata nei momenti di crisi.
Il cambiamento climatico ha una traiettoria che è abbastanza prevedibile per i prossimi cinquant’anni: l’acqua non sarà meno in totale, ma arriverà in periodi più brevi e con fenomeni più intensi. Questo significa che gli usi dell’acqua diventeranno ancora più conflittuali.