Coronavirus: tecnologia e privacy a confronto - Bnews Coronavirus: tecnologia e privacy a confronto

Anche un’app nata con uno scopo nobile, avrebbe potuto mettere a repentaglio il nostro diritto alla privacy. E’ quanto emerge dall’esperienza del bergamasco Marco Zambetti, studente di Giurisprudenza presso il nostro Ateneo. Dopo aver frequentato il corso di informatica giuridica, ha sviluppato un forte interesse per l’impatto delle tecnologie su vita e società, nonché verso il tema della protezione dei dati personali. La sua storia incomincia quando viene contattato da un suo amico che aveva sviluppato un’applicazione per monitorare in modo semplice l’evoluzione reale del contagio da coronavirus.

Può descrivermi il funzionamento di questa app?

Era molto semplice: con un servizio online offerto gratuitamente da una società esterna, le persone potevano segnalare la comparsa e l’entità di sintomi da corona virus, l’eventuale tampone effettuato e il suo risultato. Non occorrevano registrazioni né dati quali nome, cognome o e-mail, ma bastava segnalare liberamente la propria posizione, così da apparire poi sulla mappa della città, visualizzabile da chiunque. Prima del lancio dell’applicazione, gli sono venuti dubbi in merito ai risvolti privacy e mi ha contatto. L’ho convinto a desistere dall’idea per una serie di rischi e implicazioni legali. 

Mi può fare qualche esempio in merito?

L’app si sarebbe sicuramente diffusa velocemente,  generando interesse e speranze. In un momento così tragico e di sostanziale impotenza, anche il semplice fatto di poter far notare la propria presenza e il proprio problema diventa importante.
Tuttavia, un suo utilizzo distorto avrebbe potuto portare a confusione e panico. Si sarebbe potuto risalire facilmente all’identità di una persona, resa possibile dalla pubblicità degli indirizzi e dei sintomi comparsi. Immaginiamo, ad esempio, un anziano, i cui dati vengano caricati dalla giovane nipote:  sarebbe stato facilmente raggiungibile da finti medici in servizio che conoscono nel dettaglio tutti i suoi sintomi.  Oppure pensiamo ad un vicinato non particolarmente amichevole che inizia a dare la caccia all’untore o ad un gruppo di giovani quindicenni che caricano sintomi e storie esagerate, generando il panico.
Un altro e fondamentale problema riguarda la policy privacy e le misure di sicurezza informatica per la protezione dei dati personali garantite dal servizio online utilizzato. 

E infatti, anche per il suo amico, ideatore dell'app, ci sarebbero stati dei problemi?

Sicuramente. La possibile identificazione degli individui comporta la comprensione dei dati ricevuti nella categoria dei dati personali. Il mio amico sarebbe stato quindi il titolare del trattamento di dati personali molto sensibili come quelli sanitari, con conseguenti obblighi e responsabilità.
Se il servizio fosse poi stato utilizzato in massa, magari rilanciato da media locali, avrebbe potuto costituire un trattamento di dati sanitari su larga scala. Insomma, un insieme di fattori che avrebbero reso il trattamento in questione illegittimo, con possibilità di intervento e sanzioni da parte del Garante privacy.

Quello della privacy è un tema molto attuale, se si pensa alla possibilità di tracciare gli spostamenti, come suggerisce, ad esempio, il modello coreano 

Nella discussione pubblica c’è molta confusione prodotta dalle numerose e possibili modalità di utilizzo delle tecnologie, instaurate in contesti culturali e normativi molto diversi: dall’analisi di dati aggregati e anonimi degli spostamenti (come avvenuto in Lombardia), al tracciamento consensuale tramite app con Gps e interazione tra bluetooth (ad esempio in Corea e Singapore), al monitoraggio continuo e massivo (come in Cina).
È pericoloso il mito secondo cui basterebbe un’app e una rinuncia in bianco alla privacy per risolvere problemi complessi come la gestione di una pandemia, che in primo luogo interessa il funzionamento del sistema sanitario. Il rispetto della privacy inoltre non va dipinto come un ostacolo, può essere uno strumento utile a rendere i dati ottenuti affidabili e aderenti alla realtà, evitando di delegare decisioni importanti ad un algoritmo. 

Vi sono, secondo lei, delle strade alternative da percorrere per raggiungere il medesimo scopo dell’app?

Il risultato esatto di monitoraggio del contagio non è ragionevolmente ottenibile né da un privato cittadino, né da una società privata, il Garante privacy è intervenuto chiaramente sul punto.  È un compito delle entità statali competenti, le quali rendono affidabile il dato ottenuto con i tamponi, utilizzandolo per le sole finalità statistiche e di cura e garantendo così il non utilizzo secondario da parte di soggetti privati.

Nello scenario complesso che stiamo vivendo, in che direzione stanno agendo le istituzioni? Come può essere realmente adoperata la tecnologia?

In questi giorni un team di esperti di varie aree (medica, giuridica, informatica, economica) designati dal Governo sta valutando alcuni progetti di tecnologie di telemedicina e di contact tracing utili per affrontare la pandemia. Le istituzioni si stanno quindi muovendo nel quadro di una riflessione generale di sistema, speriamo con intelligenza e lungimiranza.