Confinati nello spazio. Studiare l’isolamento sociale in una capsula lunare - Bnews Confinati nello spazio. Studiare l’isolamento sociale in una capsula lunare
Confinati nello spazio. Studiare l’isolamento sociale in una capsula lunare
Modulo lunare del progetto Lunark

Quando esiste una chiara data di fine dell’esperienza, come in una missione spaziale, e quando la motivazione personale è alta, gli effetti negativi dell’isolamento sociale vengono compensati. Questa la sintesi dello studio “Social isolation in space: An investigation of LUNARK, the first human mission in an Arctic Moon analog habitat”.

Lo studio, che ha tra gli autori Paolo Riva e Luca Pancani, psicologi sociali di Milano-Bicocca (in collaborazione con Patrice Rusconi, Università degli Studi di Messina, e Konstantin Chterevc, University of Surrey), è la rielaborazione dei dati raccolti grazie a due volontari che hanno vissuto per 61 giorni in una capsula posizionata in Groenlandia del nord a simulare l’ambiente lunare e la situazione di isolamento sociale all’interno del progetto LUNARK.

«L’essere umano ha un bisogno innato e universale di connessioni sociali - sottolinea Paolo Riva - Le missioni nello spazio o in ambienti estremi pongono un serio rischio alla soddisfazione di questo bisogno, dal momento che interferiscono in maniera significativa sulla socialità di chi partecipa alla missione. Una missione nello spazio o in ambiente estremo implica l’interruzione delle relazioni sociali preesistenti, con familiari, affetti, amici, spesso per un tempo prolungato».

Lo studio è motivato dai modelli teorici psicologici esistenti i quali sostengono che l’isolamento sociale, se protratto nel tempo, porta inevitabilmente a conseguenze psicologiche negative: emozioni negative (come ansia, rabbia, tristezza), una più bassa autostima, un maggior senso di solitudine, e uno stato generale di rassegnazione caratterizzato da depressione e alienazione.

Per questo, i ricercatori hanno cercato di esplorare i vissuti e le percezioni di due volontari nel corso della missione all’interno della capsula posizionata nella Groenlandia del nord. «Ci siamo chiesti, cosa succede quando l'isolamento è strumentale al raggiungimento di uno scopo significativo (come nel caso di una spedizione spaziale simulata) e ha una data di fine dell’esperienza nota? Lo scopo principale della missione LUNARK era testare da un punto di vista architettonico l’habitat e il design della capsula, pensata primariamente per un utilizzo in ambiente lunare – continua Riva -Per i nostri scopi invece, i due volontari hanno compilato giornalmente un questionario volto a misurare le loro emozioni, la soddisfazione dei bisogni psicologici di base, i sentimenti di solitudine, il desiderio di contatto sociale, e lo stato di rassegnazione psicologica. Volevamo anche vedere le associazioni tra l’esecuzione di determinate attività e i costrutti psicologici misurati. Per questo sono state misurate le attività quotidiane, come il parlare di aspetti lavorati (vs. personali), l’esercizio fisico, il tempo speso in attività lavorative o rilassanti e creative.»

Questo studio si colloca all’interno della crescente letteratura sulla space psychology, ossia l’applicazione delle conoscenze psicologiche ai viaggi umani nello spazio. La disciplina considera in primo luogo l’impatto di fattori ambientali fisici quali ad esempio l’illuminazione, i suoni o la strutturazione degli ambienti interni delle capsule spaziali.

C’è poi un’analisi psicologica delle caratteristiche individuali che rendono taluni individui più adatti di altri a questo tipo di esperienze, quali la capacità di lavorare in team o in condizioni di stress, o l’analisi di tipo organizzativo, che riguarda tematiche quali la distribuzione del carico di lavoro giornaliero. Infine, c’è l’ambito psicosociale, che si focalizza tra gli altri sull’isolamento sociale come fattore di rischio posto dai viaggi nello spazio o in ambiente estremo.

L’analisi dei risultati di quest’esperienza mostra che l’isolamento sociale in ambiente estremo non conduce a uno stato di rassegnazione psicologica. In questo senso, la mancanza di connessioni sociali ha effetti diversi a seconda del contesto.

«I nostri dati mostrano tuttavia un aumento giorno dopo giorno del desiderio di contatti sociali, segno che la “fame” di socialità nei volontari isolati non si è spenta – conclude Luca Pancani - ma il suo mancato appagamento non si è nemmeno tradotto in uno stato psicologico di rassegnazione. Considerando l’analisi delle attività quotidiane svolte dai due volontari, parlare di questioni personali prediceva più bassi livelli di rassegnazione e maggior desiderio di contatto sociale. Inoltre, dedicare del tempo ad attività libere (non lavorative) era collegato di nuovo con minori livelli di depressione e alienazione, e con una più veloce percezione dello scorrere del tempo. Infine, l’esercizio fisico prediceva il desiderio di contatto sociale. Questi risultati potrebbero essere utili nella pianificazione futura delle attività da svolgere nelle missioni nello spazio o in ambienti estremi, al fine di salvaguardare e promuovere non solo la salute fisica ma anche il benessere psicologico».

Video sul progetto Lunark