Come gli stereotipi sociali intervengono nella percezione degli spazi urbani - Bnews Come gli stereotipi sociali intervengono nella percezione degli spazi urbani

Come gli stereotipi sociali intervengono nella percezione degli spazi urbani

Come gli stereotipi sociali intervengono nella percezione degli spazi urbani
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Quale relazione lega la percezione degli spazi urbani agli stereotipi relativi alle classi sociali? A questa domanda risponde lo studio di Chiara Sparascio, dottoranda del dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, che per questo lavoro, svolto nell’ambito del suo progetto di dottorato, è risultata tra i vincitori del Premio “La metamorfosi della città” in memoria del sociologo Guido Martinotti, analista e interprete delle trasformazioni urbane.

Con Chiara Sparascio cerchiamo di fare chiarezza sul tema.

Come si struttura il progetto di ricerca Classi sociali, stereotipi e segregazione residenziale negli spazi urbani?

Abbiamo condotto due studi attraverso dei questionari. Durante il primo, di tipo correlazionale, sono state mostrate ai partecipanti delle foto di alcuni quartieri di varie città italiane. Per ognuno di essi, abbiamo chiesto di ipotizzare la classe sociale degli abitanti, di posizionare il quartiere sull’asse centro/periferia, di immaginare quali servizi fossero presenti e di indicare il livello di accoglienza e di efficienza.

Il secondo studio ha avuto un carattere sperimentale: sono state mostrate le immagini dello stesso quartiere, ma abbiamo anche fornito alcuni dati indiretti relativi al reddito, al tasso occupazionale e al valore degli affitti che lasciavano intendere che il quartiere fosse abitato da classi sociali più ricche o più povere.

In entrambi i casi, gli esiti indicano generalmente una visione in cui alcune caratteristiche associate alle classi sociali si riversano sui luoghi, anche quando viene però mostrata la stessa immagine: si tende quindi da un lato ad associare i quartieri presumibilmente abitati da classi ricche a caratteristiche come la centralità, la competenza e l’efficienza, dall’altro a considerarli meno accoglienti. E viceversa per i quartieri considerati abitati da classi sociali povere.

Quali sono i prossimi obiettivi della ricerca?

Abbiamo svolto il primo step di un progetto più articolato, coordinato dalla prof.ssa Simona Sacchi, che si occuperà a breve di analizzare l’esperienza di chi si sposta da un quartiere ad un altro e di come questo spostamento viene vissuto. Ci siamo anche occupate di analizzare come cambia la percezione delle questioni sociali a seconda delle caratteristiche del contesto residenziale in cui si collocano.

Al momento attuale, sto svolgendo un periodo di ricerca all’estero all’Università di Granada, in Spagna. Qui stiamo invece studiando i contesti di forte disuguaglianza sociale per capire come risulta percepita in tali casi l’appartenenza all’ambiente e come viene influenzato il coinvolgimento dell’individuo nella vita sociale.

Ritengo che gli esiti del lavoro di ricerca potrebbero essere utili anche per una migliore comprensione della frammentazione sociale e del disagio giovanile nelle dinamiche disfunzionali delle realtà urbane.

La percezione ambientale è quindi influenzata dai fattori psicologici? Può farci qualche esempio in relazione agli spazi urbani?

I fattori psicologici giocano un ruolo importante sulle valutazioni e sulle reazioni delle persone, anche interferendo nella percezione ambientale. Gli stereotipi sulle classi sociali, così come quelli legati al genere, perpetuano alcune rappresentazioni mentali e mantengono le disuguaglianze. La psicologia sociale studia appunto questi fenomeni.

Percepire gli spazi privati come femminili e quelli pubblici come maschili, rende ad esempio più facilmente tollerabile il fenomeno delle molestie nei confronti delle donne in determinati contesti. Allo stesso modo, associare alcune aree urbane a determinate classi sociali può avere delle conseguenze.

L’urbanizzazione è una condizione sempre più caratteristica delle nostre società in cui la maggior parte delle persone vive in città, confermando un trend in aumento. Le dinamiche urbane riflettono alcune forme di segregazione abitativa: di fronte ad una criticità la valutazione delle cause può cambiare a seconda del quartiere in cui si verifica, influenzando anche le azioni collettive che vengono messe in campo per la risoluzione in termini di tempo e risorse. Se l’associazione tra i concetti di povertà, insicurezza, abbandono è ormai abituale, allora la gravità rischia di trasformarsi in normalità.

Quali sono i rischi di una polarizzazione dei quartieri urbani?

Il rischio è quello di creare una serie di condizioni che favoriscono il conflitto sociale. La pandemia ha, oltretutto, contribuito ad aumentare le disuguaglianze economiche. Si registra un aumento dei costi, anche abitativi, e in generale l’impoverimento delle famiglie a basso e medio reddito che non sempre riescono a vivere dove vorrebbero. In alcuni quartieri si verificano fenomeni di espulsione che in tempi rapidi possono determinare la distruzione del tessuto sociale.

Un’estrema separazione determina di fatto una divisione anche geografica: a seconda dell’appartenenza o meno ad un gruppo sociale, si finisce col frequentare solo alcune zone e questo determina col tempo anche una mancanza di occasioni di scambio e conoscenza che genera addirittura l’assenza di consapevolezza dell’esistenza di determinati contesti. Tante città in varie nazioni vivono già questa realtà che autoalimenta e riproduce la disparità; i quartieri più fragili si impoveriscono di opportunità culturali e diventano sempre più esposti alla criminalità.

Sulla base delle dinamiche legate alle trasformazioni urbane, il nostro gruppo di lavoro indaga il ruolo dei fattori psicologici nella valutazione ambientale da parte delle persone dimostrando, ancora una volta, quanto essa possa essere parziale o distorta.