Chi beve caffè è più protetto dall’Alzheimer. Da tempo, ormai, si discute della correlazione tra l’assunzione di una quantità moderata della bevanda e la riduzione del rischio di demenza. Fino ad oggi le ricerche al riguardo sono state di natura prettamente epidemiologica, questo vuole dire che hanno studiato la frequenza e la distribuzione della malattia. Altri studi, invece, hanno ipotizzato un possibile effetto positivo del caffè dovuto alle proprietà benefiche identificate in alcuni suoi componenti, come l’acido ferulico, la quercetina o la caffeina. Un recente studio coordinato dell’Università Bicocca (dipartimenti di Biotecnologie e Bioscienze e Medicina e Chirurgia), in collaborazione con l’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha voluto compiere un passo avanti, muovendo da un approccio completamente diverso. Il gruppo di ricerca ha studiato il ruolo del caffè nella riduzione della tossicità della proteina beta-amiloide, considerata responsabile dell’insorgenza dell’Alzheimer, da un punto di vista molecolare. Per saperne di più ne abbiamo parlato con Cristina Airoldi, uno degli autori dello studio e docente di Chimica organica presso il dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze.
In che modo il caffè protegge dall’Alzheimer e quali sono le sostanze in esso contenute che svolgono questa azione preventiva?
Sulla base dei nostri risultati, le principali sostanze presenti nel caffè candidate a svolgere una potenziale attività anti-amiloidogenica sono gli acidi clorogenici, i più abbondanti polifenoli presenti nel caffè, che nel caso del caffè verde rappresentano circa il 10% del peso, e le melanoidine, un prodotto della tostatura dei chicchi di caffè, pertanto contenuti nel caffè tostato, che beviamo come espresso al bar o che prepariamo con la moka a casa.
Queste sostanze hanno un’azione “multi-target”: sono in grado di inibire l’aggregazione dei peptidi beta-amiloidi, che porta alla formazione delle specie neurotossiche in grado di produrre danni ai nostri neuroni, ma possiedono anche attività antiossidante, importante perché lo stress ossidativo è strettamente correlato allo sviluppo della malattia, e promuovono un particolare processo cellulare, chiamato autofagia, che aiuta le nostre cellule a rimuovere selettivamente componenti danneggiate e anche aggregati proteici.
La dieta mediterranea, modello nutrizionale per eccellenza, è un’alleata della prevenzione?
Fondamentalmente tutti i cibi che contengono polifenoli, classe di cui, come già detto, fanno parte anche gli acidi clorogenici, possono essere fondamentali nella prevenzione di alcune malattie legate all’invecchiamento cellulare e alla neurodegenerazione. Essi sono prodotti dalla piante e quindi presenti in frutta, verdura e prodotti da essi derivati. Gli acidi clorogenici in particolare sono abbondanti nel caffè, nel the, nei semi di girasole, nei frutti di bosco, nella cicoria e nel carciofo e sono contenuti in quantità minore in patate, pomodori, mele, pere, lattuga e melanzane, tutti alimenti comunemente presenti sulle nostre tavole.
Le melanoidine sono invece presenti, oltre che nel caffè, nella birra e nei prodotti da forno.
Possiamo pertanto concludere che la dieta mediterranea contempla un consumo significativo di cibi che contengono le sostanze bioattive identificate nel nostro studio.
Quante tazzine di caffè andrebbero consumate per proteggerci dall’Alzheimer?
A questa domanda non è possibile rispondere con dati sperimentali certi, tuttavia studi epidemiologici hanno indicato un consumo di 3-4 tazzine di caffè come sufficiente a promuovere un possibile effetto preventivo, riducendo l’incidenza della malattia di circa il 30%.
È importante considerare che le sostanze contenute nei cibi che assumiamo con la dieta vengono metabolizzate dal nostro organismo e potrebbero subire modifiche che ne alterano la struttura chimica e quindi l’efficacia, ma per quanto riguarda il caffè alcuni studi (doi: 10.3945/jn.108.095554; https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17884997) hanno dimostrato come i principali acidi clorogenici presenti sia nel caffè verde che in quello tostato siano altamente assorbiti e biodisponibili nel plasma umano anche diverse ore dopo il consumo della bevanda, venendo degradati solo in bassa percentuale.