Sorvolare un vulcano attivo come può fare soltanto un drone o studiare in prima persona un’area colpita da un terremoto, tutto questo grazie alla realtà immersiva del laboratorio Geovires dell’Università Milano – Bicocca, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra. Grazie al laboratorio tutti gli studenti possono esplorare gli ambienti dove i geologi fanno le loro ricerche e le loro “missioni sul campo”, un approccio di questo tipo è particolarmente utile per quei luoghi considerati pericolosi o lontani centinaia o migliaia di chilometri, come l’Islanda, il Sud America, l’Asia. L’opportunità che queste tecnologie offrono è quella di un vero e proprio salto di qualità nell’insegnamento, tanto nei corsi universitari quanto nelle attività formative rivolte alle scuole medie e superiori attraverso il Piano Lauree Scientifiche in Bicocca.
Ne abbiamo parlato con il professor Fabio Luca Bonali e con il dottor Luca Fallati, che sono tra gli animatori di Geovires, e ci raccontano quella che è stata fin qui la loro esperienza e quali potrebbero esserne gli sviluppi futuri.
Bonali: nel 2019 ho ricevuto un grant per un progetto con la scuola internazionale di Vienna, dove ci hanno invitato a svolgere attività divulgativa con studenti dalle elementari alle medie superiori. Una quarantina di studenti a turno ha provato ad usare il visore per la realtà virtuale immersiva; hanno esplorato i vulcani islandesi e italiani, oppure hanno usato una lente elettronica per osservare i minerali contenuti nelle rocce vulcaniche, o ancora degli stereoscopi, per guardare foto aeree in 3d: di base erano attività condotte in piccoli gruppi, ogni studente impara da quello che fanno gli altri e alla fine confrontano le esperienze. Quello che hanno fatto in gruppo fin da subito è utilizzare un poster interattivo con i loro cellulari, scansivano il QR code e si apriva sul loro schermo un modello 3d di un vulcano islandese piuttosto che dell’Etna; mentre lo guardavano potevano confrontare l’osservazione con quello che diceva il docente.
Prima di poter avere questi materiali a disposizione, una parte dei quali si può fruire anche sul sito di Geovires, abbiamo dovuto fare numerose missioni sul campo, ci siamo avvalsi di immagini raccolte da drone, abbiamo dovuto raccogliere molti dati e poi processarli con l’aiuto di software ad hoc per avere un prodotto finale fatto da modelli 3d ad alta definizione, utilizzabili sia per didattica che per la ricerca.
Avvicinare i ragazzi al mondo delle scienze della terra già dalla scuola secondaria è importante: nel breve periodo significa comunicare loro in modo immediato che cosa fa un geologo, metterli in grado cogliere gli aspetti più affascinanti e anche avventurosi del suo lavoro sul campo; nel medio e lungo periodo significa avere cittadini più preparati a gestire le esigenze e le emergenze del territorio, e naturalmente ritrovare poi matricole ai corsi universitari con una migliore preparazione scientifica di base.
Gli studenti sono entusiasti e l’accesso ad un ambiente di esperienza non passivo stimola la loro curiosità, è come un libro che si apre a tre dimensioni; in questo modo possiamo offrire un catalogo più ampio di esperienze, in cui si integrano l’insegnamento teorico tradizionale, l’escursione sul terreno e osservazioni usando la realtà virtuale.
Se in questa esperienza il professor Bonali ha rappresentato il mondo dei vulcani, Geovires si è arricchita però anche del contributo di Luca Fallati, geomorfologo marino, che con Bonali ha fatto diverse campagne di raccolta di dati in Islanda, a Santorini e sull’Etna. Il dottor Fallati si occupa in particolare della mappatura degli ambienti costieri e oceanici.
Fallati: L’idea è stata quella di utilizzare gli stessi strumenti: droni, camere a 360 gradi, per ricreare degli ambienti costieri da inserire nella realtà virtuale. Per gli ambienti sottomarini l’esperienza è stata ancora più utile perché abbiamo sfruttato una collaborazione con l’università di Tromsø (UiT, Arctic Univeristy of Tromsø) che ci ha permesso di partecipare a della campagne oceanografiche in Artico durante le quali è stato utilizzato un ROV (un robot teleguidato dalla nave che scende verso le profondità oceaniche). Con il ROV abbiamo acquisito immagini dei fondali, a profondità tra 200 e i 2000 metri, per poter poi ricostruirli tridimensionalmente e con una risoluzione millimetrica alta: questa pratica è innovativa e permette di esplorare ambienti sommersi inaccessibili ed estremi, caratterizzati da emissioni di metano profonde e comunità batteriche associate. L’esplorazione di questi ambienti all’interno della realtà virtuale permette di studiare questi fondali avendo la percezione della tridimensionalità per capire meglio come è fatto l’ambiente, quali ne sono le morfologie e le importanti comunità bentoniche che lo popolano. Attraverso il caschetto della realtà virtuale lo studente sperimenta una realtà “immersiva” sia in senso letterale che figurato, e viene messo nelle condizioni migliori per interpretare l’ambiente attorno a sé.
In seguito, grazie alla collaborazione con il MaRHE Center della Bicocca alle Maldive, abbiamo potuto posizionare camere a 360 gradi in diversi punti della scogliera corallina. In questo caso gli studenti non fruiscono di una realtà virtuale immersiva però, vedendo il video attraverso il caschetto della VR, la percezione della persona è quella di essere lì immersi nell’oceano ascoltando anche il suono della scogliera. Infatti, i molti animali che la popolano, dopo che ci si allontana un attimo, cominciano ad emettere suoni, che grazie al microfono delle camera a 360 gradi, abbiamo registrato: sono i suoni della scogliera corallina.
Per quanto riguarda l’uso della realtà virtuale con l’esperienza di Geovires siamo stati certamente tra i primi in Europa nella nostra disciplina, però collaboriamo con altre università che hanno messo in piedi progetti analoghi o hanno intenzione di farlo nei prossimi tempi. C’è un progetto Erasmus Plus (il programma dell’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione, della gioventù e dello sport) che si chiama BridgET , la cui coordinatrice è la professoressa Alessandra Savini del DISAT, che coinvolge i nostri partner europei: Kiel University, Arctic University of Norway, National and Kapodistrian University of Athens, University of Liège, University of Malta. Ne fanno parte anche Centri di Ricerca: l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, l’Istituto Nazionale di Astrofisica e un’impresa tedesca, Orthodrone. L’obiettivo è quello di sviluppare modalità didattiche innovative, che utilizzano le tecnologie per rendere più attrattive le geoscienze che a livello globale stanno perdendo un po’ di appeal.