Pianeta a rischio: una nuova estinzione di massa, ci salveranno i dinosauri? - Bnews Pianeta a rischio: una nuova estinzione di massa, ci salveranno i dinosauri?
Pianeta a rischio: una nuova estinzione di massa, ci salveranno i dinosauri?
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Ornitischi, saurischi, estinzioni di massa e dinosauri: negli ultimi anni varie importanti ricerche si sono concentrate proprio su questi argomenti “antichi” che continuano ad assistere a nuove svolte e sorprendenti scoperte… Ma cosa possiamo imparare dai dinosauri? Che cosa possono ancora raccontarci sul pianeta in cui viviamo? «L’estinzione dei dinosauri è un concetto relativo dal punto di vista paleontologico, perché sono presenti sulla Terra ancora oggi – ci spiega Maurizio Casiraghi, professore di Zoologia al Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca – e li vediamo tutti i giorni sorvolare le nostre teste: sono gli uccelli».
 

Professor Casiraghi, in tempi recenti si è parlato di una “sesta estinzione di massa”, con un calo demografico delle specie viventi in grado di mettere a rischio l’intero ecosistema terrestre. Che caratteristiche ha questa nuova estinzione?

Si parla di una sesta estinzione di massa, ma bisogna anche essere cauti perché noi scienziati siamo abituati a studiare le estinzioni a posteriori ed essendo ancora nel vivo di questa estinzione contemporanea possiamo solo fare delle supposizioni su ciò che verrà. Ciò che è certo è che la riduzione del numero delle specie soprattutto negli ultimi 50-60 anni è notevole e ha assunto una scala nettamente diversa rispetto ai periodi immediatamente precedenti, come testimoniato ad esempio da un nostro recente studio sulla lucertola delle Eolie. Dal 1900 più del 30 per cento delle specie di vertebrati si è ridotto per numero di individui ed espansione geografica, mentre oltre il 40 per cento delle specie di mammiferi ha subito un grave declino di popolazione.
 

L’ultima estinzione di massa individuata nel passato è quella dei dinosauri, che risale a circa 65 milioni di anni fa. Cosa è successo allora?

Innanzitutto è bene definire il termine “estinzione” perché ne esistono due tipi. C’è l’estinzione di fondo che avviene in modo diffuso ed è parte naturale dell’evoluzione: si stima che in circa quattro miliardi di anni, dalla comparsa della vita ad oggi, oltre il 99 per cento delle specie presenti in precedenza sulla Terra si sia estinto. Ma attraverso la datazione dei fossili sono stati rilevati anche periodi con bruschi cambiamenti nella fauna: ecco quelle che definiamo estinzioni di massa, che determinano il passaggio da un’era all’altra. Distinguiamo allora cinque grandi estinzioni, la più recente delle quali è avvenuta circa 65 milioni di anni fa e riguarda i dinosauri. Ad oggi non si ha una risposta definitiva su come si sia svolta, ma abbiamo diverse teorie accreditate, quasi tutte più o meno catastrofiche: la caduta di un asteroide di grandi dimensioni nella penisola dello Yucatán, una serie di numerose e violente eruzioni vulcaniche, il Sole oscurato dalle polveri, un netto calo della salinità degli ambienti marini o un cambiamento climatico radicale, con conseguenze tali da danneggiare in modo consistente l’ecosistema di quel periodo, sconvolgendolo. Vari studiosi hanno anche sottolineato la possibilità che alcuni di questi fattori si siano sovrapposti, amplificando a vicenda i propri effetti sulla vita sulla Terra.
 

Può farci l’esempio di una scoperta recente e particolarmente significativa?

Una ricerca che ha suscitato un certo scalpore fra i paleontologi è quella che ha messo in discussione la tradizionale classificazione che divide i dinosauri in due gruppi: gli ornitischi, con le ossa del bacino simili a quelle degli uccelli (come il triceratopo), e i saurischi, in cui queste ossa sarebbero più simili a quelle dei rettili (come il tirannosauro). Studi recenti hanno tuttavia dimostrato che gli ornitischi sono imparentati con i teropodi, come lo stesso Tyrannosaurus rex, che sembra dunque essere più vicino alla linea evolutiva degli uccelli che a quella degli altri rettili, e non si esclude nemmeno che questi grandi dinosauri fossero provvisti di penne, con una funzione verosimilmente legata al controllo del calore corporeo. La rivisitazione di classificazioni ritenute per anni attendibili non è inusuale per la comunità scientifica: la ricerca è sempre in evoluzione e poi, paradossalmente, i dinosauri di oggi – gli uccelli – sono classificati come saurischi!
 

Studiare il passato può aiutare a preservare l’ecosistema da possibili danni?

Sì, è una risorsa in più che abbiamo per conoscere meglio ciò che sta accadendo e cercare di prevedere ciò che si verificherà, ma naturalmente non basta. La scienza ha le idee abbastanza chiare su questo punto: gli equilibri ambientali e molti ecosistemi terrestri sono oggi in pericolo, il problema è che non sempre la conoscenza è sintomo di volontà di voler cambiare.
 

Sono mai esistiti degli organismi viventi che hanno intaccato l’ecosistema quanto gli esseri umani?

Se pensiamo a una singola specie forse no, ma pensando a un gruppo di organismi potremmo dire che è successo “di peggio”, anche se solo a livello batterico: fino a circa due miliardi e 400 milioni di anni fa gli organismi viventi erano immersi in un’atmosfera “riducente” priva di ossigeno e ricca di zolfo, elemento che sintetizzavano per le loro funzioni vitali. Con la diffusione di altre forme di vita fotosintetiche in grado di produrre ossigeno, si è passati dal 2-3 per cento a più del 20 per cento di ossigeno nell’atmosfera, cioè a condizioni del tutto incompatibili con la vita degli organismi più diffusi in precedenza. A livelli superiori, invece, nessun essere vivente ha mai prodotto così tanti danni all’ecosistema nel quale è inserito: gli esseri umani, inoltre, hanno introdotto un fattore prima sconosciuto, quello tecnologico.
 

È possibile che la specie umana possa andare incontro all’estinzione a causa dei danni che sta provocando al pianeta?

L’estinzione è un processo naturale che riguarda tutte le specie viventi, come evidenziato già da Darwin nella sua teoria dell’evoluzione. Secondo le teorie più diffuse la causa principale, accanto ai fattori ambientali, si ritrova nella riduzione della variabilità: più la variabilità si riduce all’interno di una specie, più facilmente questa sarà a rischio estinzione. In accordo con tale paradigma gli esseri umani – in quanto specie animale – seguiranno lo stesso decorso e quindi si estingueranno. L’incognita è quando e come, ed è qui che l’animale umano entra in gioco come soggetto agente: il modo in cui stiamo gestendo le risorse del nostro pianeta non sembra molto lungimirante e non predice di certo un futuro radioso. Questo comportamento non è nemmeno comparabile con quello dei parassiti, come è stato a volte riportato, perché un parassita che “funziona” non uccide l’organismo che lo ospita. Per far fronte all’inquinamento e al cambiamento climatico sarebbero necessarie regolamentazioni sovranazionali seguite da tutti in tutto il mondo: un’idea che ancora oggi appare purtroppo utopistica, nell’era delle nazioni. Il destino della nostra specie, nel lungo termine, è apocalittico, se non provvediamo a regolare il nostro comportamento.

Veronica Leorati e Lorenzo Mameli