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Noi come la Casa di Carta: responsabilità, emozioni e dinamiche interpersonali
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Per Sergio, il Professore, affrontare la quarantena sarebbe un gioco da ragazzi. Ma non imponetela ad Arturito: si rivelerebbe un disastro. Parola di Emanuele Preti, ricercatore di Psicologia clinica, al quale abbiamo chiesto un approfondito paragone tra la situazione di isolamento e le esperienze emotive che vivono i protagonisti della “Casa di Carta”tra le serie tv più apprezzate del momento, è appena uscita la quarta stagione – e quelle che, mutatis mutandis, vivamo noi tutti i giorni, da quando la situazione di emergenza per il Coronavirus è cominciata.

Emanuele Preti, quale paragone si può fare dal punto di vista psicologico tra la situazione di isolamento che stiamo vivendo, richiesta dall'emergenza e dai decreti “#IoRestoaCasa”, e quella che scelgono di vivere i personaggi della “Casa di Carta”?

Al di là della situazione di isolamento, i personaggi della serie, da entrambe le parti della barricata (anche se i confini poi sono molto labili), vivono una situazione di pericolo, che per certi versi potrebbe essere paragonabile al rischio che tutti corriamo rispetto al virus. C’è però una sostanziale differenza. Alla Zecca e nella Banca di Spagna il pericolo è umano. In questo senso, abbiamo sentito diverse volte in questi giorni utilizzare la metafora della guerra: siamo in guerra contro il virus, vinceremo questa guerra. Trovo che la metafora non sia particolarmente azzeccata e in questo senso la nostra situazione si allontana da quella dei rapinatori e degli ostaggi della serie. Non abbiamo (per fortuna) dei nostri simili come nemici, e forse considerando la questione in modo più ampio, è difficile anche definire il virus come un vero nemico, se lo consideriamo nel bilancio generale delle leggi di natura. Eppure è forte la tentazione di abbracciare la metafora della guerra. Paradossalmente, nel linguaggio di questi giorni, si assiste a un fenomeno che solitamente segue una direzione opposta. La deumanizzazione, infatti, è studiata in psicologia sociale come meccanismo psicologico per cui viene negata l’umanità di un altro individuo o di un intero gruppo sociale diverso dal proprio. Si tratta di un fenomeno particolarmente studiato nell’ambito del pregiudizio e del razzismo e può prendere forme diverse, come ad esempio l’attribuzione di caratteristiche animali a esseri umani. Con il virus sta accadendo l’inverso: per renderlo meno minaccioso, più conosciuto, lo stiamo umanizzando. “Questo virus è proprio vigliacco”, si sente dire oggi. Forse, a un certo livello, vorremmo davvero avere a che fare con una guerra, da lì la forza della metafora, perché almeno avremmo la sensazione di conoscere meglio il nostro nemico.

Una situazione come questa diventa catalizzatrice di esplosioni emotive, sentimentali. In tv come a casa?

Sarà interessante valutarlo empiricamente. I dati che già sono disponibili parlano di un aumento di violenza domestica nella regione dell’Hubei nel periodo di quarantena. È evidente che si tratta di situazioni già esplosive che trovano nella convivenza forzata e nella difficoltà a chiedere aiuto un ulteriore impulso. Pare anche si sia registrato un aumento del numero di divorzi nella stessa regione. Sono le relazioni, specie quelle intime, quindi, il luogo attorno al quale si catalizzano le emozioni in una condizione di isolamento forzato. Si può però anche pensare, con un pizzico di ottimismo, che la convivenza in una situazione straordinaria, un po’ come avviene per i protagonisti della serie, amplifichi in senso positivo i legami. Al di là di questo, la letteratura scientifica parla chiaro. Una recentissima review pubblicata su “The Lancet” mette in evidenza gli effetti psicologici negativi dell’isolamento da quarantena, che vanno da reazioni post-traumatiche a abbassamento dell’umore, in alcuni casi perduranti anche oltre il periodo di isolamento.

Quali gli elementi positivi dai quali si può prendere spunto per affrontare la situazione attuale?

Si è parlato molto, in questi giorni, di come “sfruttare” al meglio questo periodo, con consigli che vanno dall’imparare qualcosa di nuovo al meditare eccetera. Io vorrei ritornare a quanto dicevamo prima rispetto alle relazioni. Sigmund Freud, al quale chiesero quale fosse il segreto di una vita felice e appagante, rispose “Lieben und arbeiten”, amare e lavorare. In un momento in cui lavorare è complesso e per alcuni forzosamente impossibile, concentrare la propria attenzione sui legami può certamente essere una buona cosa. Certo, molte persone vivono l’isolamento in solitudine completa, e questo può essere un ulteriore elemento di stress. Fortunatamente, la tecnologia odierna, pur non sostituendo il contatto reale, ci aiuta a essere tutti più vicini. Tornando alla review di “Lancet”, tra i fattori protettivi pare avere un ruolo rilevante la percezione che il nostro isolamento serva a un fine più importante. Anche questa è relazione, non più con i nostri cari vicini o lontani, ma con l’umanità in senso più ampio.

Le serie tv possono essere di aiuto?

Certamente la noia è un fattore di stress rilevante e poter staccare da una quotidianità ripetitiva e monotona può aiutare. Attenzione però al binge watching: i disturbi del sonno sono un altro degli outcome negativi individuati nella review di “Lancet”.

Qual è il personaggio che affronterebbe meglio l'emergenza?

Direi il Professore, non tanto per il distacco emotivo e la razionalità, quanto per la sua evoluzione più recente. E qui torniamo alle relazioni. Quando il Professore si rende conto dell’”amor che move il sole e l’altre stelle” (non è un caso che questo – pur inteso in senso divino – sia il punto più alto del viaggio dantesco) perde la sua razionalità perfetta, ma accede a una lettura diversa della vita e dei suoi equilibri, insomma ristabilisce delle priorità.

E quale l'affronterebbe peggio?

Probabilmente Arturito. Resiste, si oppone alla situazione, non rispetta le regole (per quanto queste siano regole criminali). Non si adatta.

Foto: credits instagram @alvaromorte