L'eredità intellettuale di Martinotti ora diventa un premio per giovani ricercatori - Bnews L'eredità intellettuale di Martinotti ora diventa un premio per giovani ricercatori

L'eredità intellettuale di Martinotti ora diventa un premio per giovani ricercatori

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La caratteristica peculiare di questo premio - nato grazie al contributo fondamentale di Eva Cantarella - è quella di non essere rivolto solo agli studiosi di Sociologia: la commissione che valuterà le candidature è composta da rappresentanti di sette Dipartimenti o aree scientifiche diverse, un rappresentante per ciascun premio. In questo modo si vuole rendere omaggio allo spirito estremamente aperto e interdisciplinare che ha caratterizzato il lavoro di Guido Martinotti, fondatore della Sociologia urbana in Italia. Ne parliamo con il professor Giampaolo Nuvolati, prorettore dell’Ateneo per i Rapporti con il Territorio.

Come è nata l'idea di un premio intitolato a Guido Martinotti?

Guido Martinotti

Martinotti è scomparso circa dieci anni fa e quello che mi ha colpito nel ricordare Guido è l’attualità dei temi che ha sollevato, temi che non sono nati poco prima della sua scomparsa, ma 30 anni fa. Molte delle sue intuizioni su come cambiava la città risalgono al 1993, quando pubblicò quella che si è poi rivelata un’opera fondamentale: “Metropoli: la nuova morfologia sociale della città”.

Quali sono queste intuizioni?

La più importante è che la città non è solo la città dei suoi abitanti, Martinotti lo intuì nel 1993, ma nel tempo il fenomeno è cresciuto. Oggi abbiamo una quantità incredibile di lavoratori, di consumatori, di popolazione che è di passaggio, con tutte le conseguenze che ne derivano. Ovviamente è fondamentale attirare turisti, pendolari, uomini d’affari che lavorano in settori che sono un volano per la città, non solo un introito, ma anche un afflusso di risorse umane che possono generare innovazione. Spesso però dimentichiamo i problemi che sono legati a questa forte presenza di popolazione non residente in città. Si verificano conflitti di vario tipo: economico per esempio, perché si assiste ad una polarizzazione dovuta alla presenza di un’élite con grandi disponibilità, a fronte di fasce di popolazione residente sempre più deboli dal punto di vista economico. L’alzarsi del costo della vita ha generato per una parte degli abitanti forme di marginalità.

Strettamente legato a questo aspetto c’è il tema del disenfranchisement, cioè la perdita di diritti da parte della popolazione locale: la presenza di forze esogene, che guidano lo sviluppo di una città, ha un impatto anche dal punto di vista politico, è un fattore che può indebolire il processo di partecipazione democratico della popolazione.

Quasi sempre quando parliamo di conflitti urbani mettiamo in primo piano il tema della contrapposizione tra autoctoni e alloctoni, ovvero la questione degli immigrati, degli stranieri. Questo è sicuramente un elemento importante, ma non è l’unico conflitto, anche se va osservato e analizzato. Tendiamo a sottovalutare il fatto che le nostre città - nella misura in cui sono frequentate da altre popolazioni - si rimettono quotidianamente in gioco, si testano dal punto di vista della sostenibilità intesa nei suoi tre aspetti fondamentali: economico, sociale, ambientale.

Ci vuole regalare un particolare episodio, un ricordo che ha segnato la sua esperienza di giovane ricercatore nel rapporto con il professor Martinotti?

Di Martinotti ricordo due aspetti: uno è la sua grande generosità intellettuale, nel senso di saper dare, ma anche saper ascoltare. Creò una scuola che aveva molto seguito e con i suoi allievi - tra cui il sottoscritto – non si limitava ad indicare i temi prevalenti, piuttosto aveva una grande capacità di ascolto.

Il secondo aspetto è che era in grado di ricreare la dimensione collettiva di un gruppo di ricerca. Sapeva dar vita ad un clima positivo, fatto di convivialità, di leggerezza in senso positivo. Quello che si costituiva era un gruppo di lavoro dove non ci sentivamo mai nei suoi confronti in un atteggiamento di soggezione sotto il profilo gerarchico, bensì dal punto di vista scientifico. Insomma era molto autorevole senza essere autoritario.

Quale ruolo gioca l'interdisciplinarietà nella valutazione delle candidature di questo premio?

L’interdisciplinarietà è molto importante: Martinotti amava fare incursioni in altre discipline. La sua idea era quella di combinare approcci diversi. Si era occupato molto anche di innovazione metodologica nelle ricerche sociologiche; con grande anticipo si era rivolto alle risorse che la tecnologia metteva a disposizione, come i GPS, i telefonini, la comunicazione a distanza per studiare la mobilità delle persone.

Uno dei temi che gli stava a cuore era quello ambientale, ma quando se ne interessava non lo faceva mai in chiave retorica. Cercava sempre di partire da una discussione generale per andare alla verifica effettiva della fattibilità delle azioni, alla possibilità di avviare processi. Martinotti è stato molto all’estero e la sua esperienza anglosassone - negli USA in particolare - ha improntato il suo atteggiamento ad un grande pragmatismo. Non dimentichiamoci che era un personaggio dalla caratura internazionale, che collaborava e aveva rapporti di frequentazione con i più grandi sociologi urbani del mondo, da Sennett a Castells.

Come è cambiato il rapporto dell'Ateneo con il territorio circostante rispetto a quando Martinotti ne era il prorettore?

È rimasta la filosofia dell’importanza del territorio. Noi non possiamo agire indipendentemente dalla caratterizzazione di un territorio, dalle infrastrutture che vi si trovano. L’essere umano non è libero di fare quello che vuole: il territorio e la sua conformazione, oltre alle variabili di tipo socio-economico, sono determinanti.

Credo che l’Università Bicocca nel panorama italiano sia un punto di riferimento per il ruolo che ha avuto e avrà rispetto all’area circostante. Nell’ambito del nostro distretto, che è fatto di abitanti, ma anche di imprese, di istituzioni artistiche e culturali, di editoria, Bicocca è stata catalizzatrice di un processo di rilancio. Al tempo stesso quella che si presenta per l’Università è un’occasione preziosa per sperimentare azioni volte al miglioramento della qualità della vita, al benessere delle popolazioni, alla partecipazione: basti pensare alle iniziative come il Festival della Musica o il Festival Generazioni.

Potenzialmente esiste il rischio che un’istituzione accademica punti solo sull’internazionalizzazione, perdendo di vista ciò che ha attorno a sé. È chiaro che l’obiettivo dell’internazionalità deve essere perseguito, ma senza dimenticare la prospettiva della terza missione, che consiste nel fare di un territorio un luogo di eccellenza. Anche questa in fondo è un’eredità di Martinotti, che ha sempre pensato che Milano dovesse smettere di insistere solo sul centro storico e diventare una città policentrica.

Per tutte queste ragioni questo premio non poteva che essere rivolto a tutti coloro che nel nostro ateneo si sono occupati delle tematiche urbane appena esposte, avvicinandosi ad esse da prospettive disciplinari diverse, facendo proprio della multidisciplinarietà un valore aggiunto.