Invecchiamento e denatalità nel Bel Paese: che fine faranno gli italiani? - Bnews Invecchiamento e denatalità nel Bel Paese: che fine faranno gli italiani?
Invecchiamento e denatalità nel Bel Paese: che fine faranno gli italiani?
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Gli italiani sono sempre più vecchi? Quanto influisce il calo della natalità e quali sono le sue cause? Lo abbiamo chiesto al professor Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia presso il Dipartimento di Statistica e Metodi quantitativi dell’Università di Milano-Bicocca.

Professor Blangiardo, è vero che gli italiani sono “sempre più vecchi”?

È aumentata e aumenterà anche in futuro la quota di residenti che hanno un'età che va oltre i confini di quella che si assume essere la soglia di ingresso fra gli anziani, convenzionalmente il 65esimo compleanno. Al contempo cresce anche la presenza di soggetti molto anziani, i così detti “vecchi” e “grandi vecchi”. Nel complesso, si va verso una società sempre più matura dal punto di vista dell'età anagrafica.

Da quanto tempo va avanti la diminuzione del numero degli abitanti?

Nella storia d'Italia la diminuzione si è affacciata per la prima volta in modo consistente nel 2015 (-130.000 unità) ed è proseguita nel 2016 (-77.000) e nel 2017 (-100.000). In precedenza c'era stato solo un “assaggio” nel 1986 (-3.000).

La natalità riveste un ruolo fondamentale in questo senso?

La natalità, o meglio, il calo della natalità svolge in tal senso un ruolo determinante che si sposa con quello che viene svolto dall'aumento della mortalità. Nel 2017 abbiamo ancora una volta superato il record, stabilito l'anno precedente, del più basso numero di nati in oltre 150 anni di unità nazionale. Al tempo stesso abbiamo registrato una nuova impennata – la precedente era stata nel 2015 – sul fronte dell'aumento della mortalità (+31.000). Il risultato è che c'è stato  un surplus di 183.000 decessi rispetto al totale delle nascite. Un valore che nella storia d’Italia si è riscontrato solo in due precedenti occasioni: nel 1917, allorché il deficit fu di 255.000 unità per via delle “Grande Guerra”, e nel 1918, quando si arrivò a 648.000 a causa della epidemia di “spagnola”.

Quali sono, a suo parere, le principali cause della situazione attuale? Per quanto riguarda gli aspetti più problematici ci sono anche proposte o soluzioni?

Le cause della bassa natalità sono soprattutto un mix tra fattori economici (i figli costano) e problemi di cura e di conciliazione fra maternità e lavoro (i figli impegnano e vincolano nelle scelte di vita e nella realizzazione di obiettivi anche sul piano professionale). Se questa è la diagnosi, allora la terapia è quella di intervenire sul piano economico, normativo e culturale per aiutare la scelta dell'essere genitori anche di più di un solo figlio.

La percentuale degli stranieri sul territorio nazionale è sempre in aumento?

Se per stranieri intendiamo coloro che non hanno attualmente la cittadinanza italiana allora la loro quota è sostanzialmente stabile: erano l’8,3% lo scorso anno e sono l’8,4% al 1° gennaio del 2018. Se invece consideriamo tutti coloro che hanno vissuto “da stranieri” sul nostro territorio allora la loro presenza si accresce anno dopo anno. Nel 2017, ma anche nel 2016, il numero di residenti stranieri è aumentato solo di poche migliaia di unità semplicemente perché più di 200.000 residenti stranieri hanno smesso di essere tali (202.000 nel 2016 e 224.000 nel 2017), in quanto diventati italiani. Le acquisizioni di cittadinanza, che sono via via crescenti anche senza alcun cambiamento delle norme,  rappresentano il vero freno alla crescita dello stock di popolazione straniera in Italia. Detto in altri termini: sono ben più quelli che “approdano” alla cittadinanza italiana di quelli che “sbarcano” sulle nostre coste.

Come cambierà l’Italia nei prossimi anni? Chi sono gli italiani di domani?

Saremo un Paese forse leggermente meno popolato, ma certamente con una popolazione più “matura” e con un passato da stranieri o da figli di stranieri. Avremo verosimilmente qualche problema sul piano del welfare: entro il 2060 si prevede di arrivare ad avere  2,4 milioni di ultranovantenni (oggi sono 700.000). Tuttavia, se riusciremo a governare i flussi migratori e l'integrazione di chi ne è coinvolto (direttamente e non);  se sapremo dare valore e un ruolo alla componente anziana senza riunchiuderla unicamente entro i confini dell'assistenza; se riusciremo a darci  nuove regole (ad esempio sull'età lavorativa, su tempi e percorsi di formazione) e se sapremo valorizzare le capacità e le risorse della così detta società civile – magari ridimensionando il ruolo dello Stato e allentando il freno della burocrazia – non è escluso che gli italiani di domani possano vivere in una società forse anche migliore di quella attuale.