Il collegio, gli anni ’80 e la scuola moderna. Occorrono visione e attenzione alle persone, parola di ispettore - Bnews Il collegio, gli anni ’80 e la scuola moderna. Occorrono visione e attenzione alle persone, parola di ispettore
Il collegio, gli anni ’80 e la scuola moderna. Occorrono visione e attenzione alle persone, parola di ispettore
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Da qualche anno il palinsesto televisivo di rai 2 propone durante l’autunno il reality “Il Collegio”, in cui un gruppo di ragazzi vive l’esperienza della vita collegiale in un’ambientazione temporale passata: quest’anno per esempio tocca agli anni ’80. Nella quarta puntata dell’edizione 2019 ha fatto la sua comparsa una nuova figura: quella dell’ispettore scolastico.

A calarsi nel ruolo, senza alcuna difficoltà, è stato un volto noto per gli studenti e le studentesse del Dipartimento di Scienze della Formazione. Parliamo del professor Max Bruschi, ispettore scolastico MIUR, docente di Legislazione Scolastica (Dipartimento di Scienze della Formazione, Milano-Bicocca), autore di pubblicazioni sul tema e comunicatore apprezzato sui social network (La sua pagina Facebook è seguita da più di 28000 persone).

Nel suo post più recente, a conclusione del percorso di formazione per insegnanti di sostegno, afferma di sentirsi fortunato a poter vedere l'universo istruzione da tanti angoli diversi: amministrativo, ispettivo, didattico, formativo, normativo, social e di ricerca. Il professor Bruschi cerca di considerare assieme tutti questi aspetti, sulla base del presupposto che l'istituzione scolastica serva innanzitutto agli alunni, e che rispetto all'esigenza di costruzione del sapere (diritto costituzionalmente garantito) occorra subordinare il resto. Partendo da questo assunto e prendendo spunto dalla sua partecipazione al reality “Il collegio”, abbiamo chiesto al professor Bruschi qualche impressione sul sistema scolastico del Belpaese.

Qual è lo stato di salute attuale della Scuola in Italia?

Per parafrasare Trilussa, direi che ci sono istituzioni scolastiche dove oltre al pollo si imbandisce l’intero cenone di Capodanno, e altre dove il pasto è decisamente meno ricco. Storie e racconti di studenti, famiglie e insegnanti raccolti come ispettore, come docente e attraverso la mia attività su Facebook, confermano una disomogeneità. Non sto parlando del divario “nord/sud” ma di una situazione a macchia di leopardo. Però, per una buona diagnosi la temperatura del corpo da sola non basta e ricordo, prima di tutto a me stesso, poi alle mie studentesse e ai miei studenti, che abbiamo sempre a che fare con persone. È il lavoro sulla classe, sul singolo alunno, a dare o non dare i risultati. E su questo, la leva decisiva è quella della valorizzazione del personale: dal dirigente scolastico al docente. In questi anni ho incontrato eccellenze, energie, voglia di mettersi alla prova anche in situazioni limite e in scuole considerate in difficoltà. Nel mare della statistica rischiamo di perdere quel consiglio di classe, quel team, quei docenti che rappresentano invece una scintilla, una realtà che “potrebbe essere”. Per questo sostengo che nulla può sostituire il rapporto diretto.

Rispetto al 1980 il sistema scolastico italiano è chiaramente mutato parecchio. Questa evoluzione è stata totalmente positiva o ci sono elementi del passato che potrebbero essere riconsiderati e riproposti?

Tra il 1980 e oggi è davvero cambiato il mondo, pensiamo solo ad esempio all’impatto delle ICT. Invito sempre i miei studenti a una robusta iniezione di cartoni animati e giochi sul tablet. Oggi può succedere anche che si “entri” in una classe sapendo cosa è Minecraft, chi sono i Pantellas, gli elementi base di Fortnite. Fanno parte anche loro di un ambiente di apprendimento e possono diventare “materiali” di didattica. Però gli anni 80 sono gli anni della fine del monopolio televisivo della RAI, con tutto ciò che ha significato sulla popolazione della scuola dell’obbligo.  Pensiamo, ad esempio, a una trasmissione come “Bim Bum Bam”.  Peraltro, sono gli anni delle “mie” medie, fatte in un quartiere “difficile” come il Giambellino di Milano. Ricordo il rigore degli insegnanti: le difficoltà erano superate attraverso una visione chiara degli obiettivi. A scuola si andava per apprendere e si imparavano le regole di convivenza. Ora, senza rimpiangere una età dell’oro che in realtà non c’è mai stata, occorre comprendere che le riforme non sono un sinonimo di miglioramento. A volte mi diverto a prendere pezzi di vecchi programmi scolastici e ordinamenti e a mostrare quanto sarebbero attuali, o quanto oggi siano stati “appesantiti”. Recupererei l’idea di una scuola meno sovraccarica di adempimenti, di carte, di funzioni, di indicazioni. Una scuola con una missione chiara e che concentra la propria energia su questa missione.  Faccio un esempio su un tema ciclicamente riproposto: l’orientamento. La scuola (del primo ciclo) che fa l’orientamento migliore non è quella che prepara meticolosi schemi e diagrammi ma quella che innanzitutto mette in grado gli alunni di fare la propria scelta sulla base delle proprie predisposizioni e non delle proprie lacune. L’orientamento parte dai primissimi anni di scolarizzazione, quando vi è il decisivo “imprinting” docente-allievo. Una relazione educativa sciatta o affrettata si riverbera negli anni e nei cicli successivi.

Quali difficoltà ha dovuto fronteggiare più spesso nell’esperienza di ispettore scolastico? Quali invece le gratificazioni ricevute?

In alcune situazioni c’è il rischio di una sovrabbondanza di documenti, magari presentati infinite volte in formati diversi. Le migliori gratificazioni me le hanno sempre date gli allievi. Sempre. Dicendomi le cose come stavano, innanzitutto. Quando oggetto dell’ispezione era un docente bravo ma rigoroso e come tale, magari, bersaglio di qualche polemica sterile, erano i primi a dirmelo. E viceversa. Loro mi hanno dato fiducia. Questa fiducia spero di averla sempre ricambiata, facendo capire che non è inutile segnalare un problema, perché quel problema può essere risolto. E se è capitato di risolverlo, a guadagnarci è anche il “senso dello Stato”.

Guardando ai suoi studenti di Milano-Bicocca, come immagina o cosa si augura per il futuro dell’istituzione scolastica?

Non immagino, voglio lasciare al futuro la possibilità di stupirmi, mi fermo agli auguri che in fondo sono un “progetto” di futuro, vista anche l’etimologia del termine. Ai miei studenti auguro che possano, a cadenza regolare, sostenere concorsi ordinari per essere immessi in ruolo e che trovino istituzioni scolastiche capaci di accoglierli aiutandoli nelle difficoltà e valorizzando le loro competenze. Anni or sono incontrai, in una visita, una giovane docente ex Bicocca appena entrata in ruolo. Aveva trovato una comunità scolastica che valutava le persone per quello che valevano ed è un augurio che faccio a tutti e a tutte. Alle istituzioni scolastiche auguro maggiore libertà, che significa liberare dirigenti, amministrativi e docenti dal maggior numero possibile di adempimenti e di gravami impropri, estranei al loro scopo e alle loro professionalità.