E la chiamano estate - Bnews E la chiamano estate

Italia, Anno del Signore 2018, un’estate atipica per il Belpaese. Finiscono le scuole e si riempiono le spiagge, come ogni anno. L’afa di fine giugno fa impennare le vendite di gelato artigianale, come ogni anno. I sostenitori delle diverse fazioni politiche battibeccano nei talk televisivi, come ogni anno. «Ma allora cosa c’è di strano?» chiederete voi…
C’è di strano che quest’anno non partecipiamo ai Mondiali di Calcio. Non c’è dubbio: bisogna usare la prima persona plurale. Tutto il paese, volente o nolente, è accomunato da questa sorte. Anche chi non si dice tifoso o snobba il gioco del calcio. Cosa rappresenta per l’Italia questo strano sport che coinvolge piedi, mani, testa e cuore (tanto in campo quanto sulle tribune o sul divano)? A tal proposito, vogliamo ospitare sul nostro blog una riflessione di un docente Bicocca. Comunicatore, storyteller, tifoso, arbitro: Cristiano Carriero

È impossibile raccontare i Mondiali senza utilizzare la retorica del sé, del proprio gruppo, degli affetti, del tempo che passa.

«Se oggi ricordo nitidamente cosa accadde il giorno in cui ho baciato per la prima volta una ragazza, lo devo a Roberto Baggio e a Beppe Signori. Ci sono loro, in un piccolo televisore Grundig di inizio anni ’80, che si abbracciano, inginocchiati sull’erba di Boston. Mondiali 1994. «Vieni qua Bepi», dice Roberto dopo aver saltato Zubizzarreta e aver mandato mandato in estasi noi ragazzini. Poi il mio sguardo che incrocia il suo. Farei fatica a ricordare l’anno, ma per fortuna le estati non sono tutte uguali.

Ci sono quelle vuote degli anni dispari, e poi, per fortuna, quelle dei Mondiali. Come le notti del 1990, con mia madre che preparava la focaccia col sale grosso e mio padre che invitava i suoi amici, autorevoli dissertatori di pallone ai miei occhi, a casa. Io, al mio primo grande appuntamento sportivo, ho dieci anni e un quadernetto in cui colleziono ritagli di giornale e i risultati delle squadre divise per girone. Mia madre ha uno sguardo amorevole, mi ricorda quando battevo i coperchi delle pentole nel 1982. Ma avevo solo 3 anni e non mi fregio di aver vinto quel Mondiale. Ho dato l’orale della maturità il giorno dopo Francia-Italia del 1998. Con Baggio, ancora lui, che dice «È uscita di tanto così» e io che dopo aver sbagliato un accento sulla metrica di Odi et amo di Catullo ripeto quel gesto davanti alla commissione. E poi le maglie attillate di Corea 2002. Le sessioni di luglio con la sveglia alle 7 per vedere la partita. I tavolini ribaltati a Fabriano, per il gol di Grosso in semifinale. La notizia che non mi avrebbero confermato il contratto alla Indesit. Le vuvuzuelas. Le fughe dal mare per poter vedere Italia-Inghilterra del 2014. «Andiamo a casa, non mi va di vederla in mezzo alla gente, voglio stare concentrato». E invece all’ultimo decido di andare in quel locale, e per la prima volta incrocio gli occhi della persona che amo. Come in un romanzo, c’è Balotelli sullo sfondo di questa storia.

Che anno era? E come fai a scordarlo? Ci sarà sempre un gol di Grosso, un rigore di Baggio, uno stinco di Totò Schillaci a ricordartelo. Accadranno comunque cose belle e indimenticabili in questo giugno senza Italia ai Mondiali. Rideremo, ci innamoreremo, resteremo svegli fino a tardi. Ma a questo universo narrativo mancherà un riferimento a cui appigliarsi tra cinque, dieci, venti anni. I Mondiali hanno, per noi appassionati, il potere di custodire immagini che dovrebbero essere soltanto fotografie ingiallite, e invece sono fotogrammi nitidi. L’odore di casa della nonna, le canzoni sulla spiaggia, gli abbracci che non dimenticheremo.

Saremo felici organizzando falò sulla spiaggia, organizzeremo uscite, berremo lemoncocco corretto alla vodka, o al gin, però non sarà lo stesso. Perché senza l’Italia, senza non sarà mai lo stesso. La nostra estate senza Coppe del Mondo sarà soprattutto questo: un appuntamento che era certo e poi invece è saltato
 

FOTO di copertina: FIFA world cup 2006 - Rome circus maximus flag [Alessio Damato su Wikipedia]