Coronavirus in Lombardia, cosa c’entra lo smog? - Bnews Coronavirus in Lombardia, cosa c’entra lo smog?

La possibile relazione tra inquinamento atmosferico e Covid-19 ha polarizzato le posizioni della comunità scientifica e catturato l’attenzione dei media. Da un lato, il postion paper della SIMA (Società italiana di medicina ambientale) e delle Università di Bari e di Bologna che correla l’inquinamento da particolato atmosferico (PM) alla diffusione del coronavirus; dall’altro, la Società Italiana di Aerosol che frena invitando alla cautela sui dati disponibili.
Intanto l’inquinamento in Lombardia cala e questo “è un bene per le fasce di popolazione più deboli”. Ne abbiamo parlato con Luca Ferrero, chimico dell’atmosfera dell’Università di Milano-Bicocca e firmatario del documento della Società Italiana di Aerosol. 

Professore, l'esposizione allo smog rende più suscettibile la popolazione al contagio da Covid-19, in quanto più fragile a livello respiratorio e circolatorio?   

Come firmatario della nota divulgata dalla Società Italiana di Aerosol, le posso rispondere che è noto, e riportato nella letteratura scientifica, come l’esposizione a particolato atmosferico produca effetti cronici e acuti a carico della salute della popolazione. Quindi per prima cosa è necessario sottolineare che una pessima qualità dell’aria non rappresenta un buon punto di partenza nell’affrontare un’epidemia che produce un effetto deleterio a carico dell’apparato respiratorio. Alla luce di quanto detto, sarà importante studiare a posteriori, con tutti i dati disponibili, l’incidenza che ha avuto il particolato atmosferico nell’aggravare alcune situazioni. Tuttavia, quanto riportato sopra è riferito al quadro clinico del singolo individuo. Non al contagio. Ad ora infatti non è stato dimostrato alcun effetto di maggiore suscettibilità al contagio al COVID-19 dovuto all’esposizione al particolato atmosferico.   
Questo è un aspetto fondamentale in quanto la deontologia scientifica richiede che la divulgazione di un dato scientifico avvenga quando questo sia accettato dalla comunità scientifica e nei tempi e modi opportuni, specialmente in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo.
È quindi importante che ciascuno di noi non percepisca un panico immotivato da contagio semplicemente legato alla possibilità di respirare aria dell’atmosfera, in particolare Lombarda/Milanese, così come un qualunque abitante di aree a minor inquinamento atmosferico abbassi la guardia in risposta a supposizioni che non sono ancora state dimostrate. 
Quindi il messaggio che deve passare è: attenersi alla normativa, ai sacrifici richiesti e non modificare per nessun motivo i comportamenti indicati in funzione di ipotesi non ancora suffragate da sufficienti dati sperimentali. La posta in gioco è la vita delle persone. 

Un altro aspetto di cui si è parlato è il fatto che il particolato possa fungere da vettore di trasporto del virus: è plausibile? 

È assolutamente plausibile, come già accaduto in passato e riportato in letteratura scientifica, che il particolato atmosferico possa fungere da vettore “carrier" per virus e batteri (che per definizione, fanno parte del particolato atmosferico e sono indicati come Bio-Aerosol) in particolare in ambienti indoor. Attualmente non è stata ancora dimostrata e quantificata la concentrazione di COVID-19 in campioni di particolato atmosferico e, in assenza di dati pubblicati su riviste scientifiche, la presenza di COVID-19 in campioni di particolato atmosferico può essere considerata plausibile solo sulla base delle conoscenze pregresse. Questo è un punto estremamente rilevante e andrebbe studiato velocemente in particolare in ambito indoor, si pensi agli ambienti ristretti e con elevato numero di persone presenti, come quelli ospedalieri.

Cosa ne pensa dunque dell’interpretazione della SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) secondo cui il PM10 avrebbe favorito i contagi?

Possiamo dire che siamo prima di tutto in presenza di un caso di co-varianza, ovverosia di una variazione concomitante di due variabili. Tuttavia, la covarianza fra l'accumulo di PM10 in prossimità del suolo e la diffusione del virus non deve essere scambiata per un rapporto di causa-effetto. 

Può farci un esempio?

L’accumulo di PM10 avviene in Pianura Padana prevalentemente in condizioni di scarsa circolazione atmosferica, in periodi freddi caratterizzati da inversioni termiche al suolo. Questi eventi hanno sia un risvolto ambientale sulla qualità dell’aria, ma possono anche influenzare il comportamento umano da un punto di vista sociologico, portando le persone a prediligere attività e ritrovi in spazi confinati piuttosto che all’aperto. Si avrebbe una diffusione del virus che varierebbe in relazione alle concentrazioni di PM10 ma senza nessun nesso causa-effetto.
Per scorporare l’influenza di ciascun fattore è quindi necessario avere a disposizione tutti i dati e non ridurre un sistema complesso semplicemente a una relazione tra due variabili. Inoltre questo processo di analisi del dato richiede serie temporali più lunghe di quelle riportate nel position paper della SIMA. Ovvero allo stato attuale queste sono solo ipotesi di lavoro, di studio, ma serve ancora del tempo per aver chiarezza sulla relazione intercorrente col PM10.
Per far sì che la correlazione possa dirsi “scientificamente provata” occorre che un dato e la sua interpretazione ambientale vengano accettati dalla comunità scientifica attraverso la pubblicazione di articoli su riviste scientificamente accreditate solo ed esclusivamente dopo un processo di revisione tra pari (peer review), ossia attraverso la valutazione di un panel di esperti dello stesso settore scientifico. Cosa che, allo stato attuale, per la relazione PM10-numero di contagi non è ancora avvenuta. 

Come possiamo spiegarci allora il "caso Lombardia" e le differenze tra le diverse aree del nostro Paese?

Per rispondere a questa domanda è necessario attendere l’evoluzione degli eventi. La mia speranza personale è che questo divario non si colmi, perché prima dei numeri esiste la vita delle persone. Razionalmente sono portato a pensare che gli effetti in meridione saranno visibili tra 8-10 giorni quando saremo a due settimane circa di distanza dall’ultimo esodo avvenuto dalla Lombardia e più in generale del Nord Italia. Tuttavia, le misure messe in atto dal governo godono di un vantaggio di almeno 7-10 gg nel centro-sud Italia rispetto alla tempistica di apparizione dei primi focolai in Lombardia. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che il COVID-19 è un nuovo virus, non lo conosciamo non l’abbiamo ancora studiato, purtroppo.
Infine, poniamoci la domanda opposta, come possiamo spiegarci il divario Cina-Lombardia per numero di decessi quando la qualità dell’aria è nettamente peggiore nel continente Asiatico? A ciascun lettore appare evidente che l’età, le strutture sociali e comportamentali giocano un ruolo predominante.

Passando, invece, alle conseguenze delle restrizioni alla circolazione nelle nostre città, si può parlare di una riduzione significativa dell'inquinamento?

La risposta è sì ed è riposta semplicemente nelle immagini satellitari che sono state mostrate in questi giorni. Anche i dati delle stazioni di monitoraggio di ARPA Lombardia di questo ultimo mese mostrano importanti decrementi delle concentrazioni di microinquinanti e non ci sono stati fenomeni meteo-climatici tali da rimuovere i microinquinanti per cui le riduzioni delle concentrazioni sono da imputare alla diminuzione delle attività antropiche. A questo proposito vorrei sottolineare quello che scientificamente già si conosce: il particolato atmosferico provoca (oltre ai fenomeni cronici) anche effetti acuti a breve termine (es. cardiovascolari) e le restrizioni imposte dal governo hanno sicuramente come effetto secondario quello di abbassare le emissioni e le concentrazioni di inquinanti atmosferici. Ne consegue che seguire le indicazioni governative provoca indirettamente un minor stress per gli organismi sottoposti a contagio e quindi un maggior beneficio per le fasce di popolazioni più sensibili al COVID-19.